Non si dà pace Charity Oriakhy, la moglie di Alika Ogorchukwu, ambulante nigeriano in regola, ucciso mentre vendeva accendini e fazzoletti lungo il corso Umberto I a Civitanova Marche. Piangendo, la 35enne urla:“Voglio guardarlo in faccia, per vedere chi è, voglio capire che ha fatto, e perché ha ucciso mio marito”. La coppia ha un figlio piccolo e adesso deve riuscire a vivere solo con il suo stipendio da donna di servizio a ore presso le famiglie di San Severino. Emmanuel, il loro bambino, ha solo 8 otto anni e ancora non si è reso conto di ciò che è successo.
Chi è la vittima
Ad avvertire la donna della tragedia sono state alcune sue connazionali, così lei ha lasciato il bimbo a casa con alcuni amici della comunità nigeriana ed è subito accorsa sul luogo dove suo marito era stato ammazzato e il suo corpo era ancora a terra, coperto da un lenzuolo bianco. Quando la vedova è arrivata, sorretta da amici, ha scambiato qualche parola con gli agenti della Squadra mobile, senza forse ben capire cosa le stessero dicendo, frastornata e disperata. Più volte ha chiesto ai poliziotti: “Perché gli ha fatto questo? Perché l'ha ucciso”.
Come riporta Il Giorno, l’avvocato penalista Francesco Mantella, che assiste la moglie della vittima, ha raccontato:“Non si capacita di quello che è accaduto, del resto è difficile capire e accettare un fatto del genere. Alika era una persona buona, mansueta. Da 16 anni viveva in Italia, prima a Tolentino, poi dopo il terremoto a San Severino. Era in regola con il permesso di soggiorno, lavorava come ambulante e aveva la licenza”. A volte andava a Macerata, altre a Civitanova, soprattutto durante il periodo estivo, quando arrivano i vacanzieri e c’è più movimento. Quel giorno era arrivato al mattino con un borsone zeppo di accendini e fazzoletti da dare ai passanti in cambio di qualche soldo. Era uscito dalla loro casa, presa in affitto a 300 euro al mese nella periferia di San Severino, e con la bici si era recato alla stazione dove era salito a bordo del treno per Civitanova, a circa una cinquantina di chilometri di distanza.
L'incidente e l'elemosina
Il legale ha spiegato che la moglie lo aveva raggiunto in Italia, che avevano un bambino, e non facevano del male a nessuno. Alika utilizzava una stampella per camminare, la stessa con cui è stato ucciso, perché nel febbraio del 2021 era stato investito da un ubriaco mentre stava facendo ritorno a casa in bicicletta. Mantella, tutta la comunità e il sindaco sono sconcertati per quanto accaduto. Il primo cittadino Fabrizio Ciarapica, a capo di una maggioranza di centrodestra, ha così commentato il tragico fatto: “Episodi di questo genere creano sempre tanta amarezza. Come sindaco e come uomo, condanno ogni atto di violenza, ancor più quando il risultato è la perdita della vita da parte di un giovane”.
Anche il sindaco di San Severino, Rosa Piermattei, si è detto sgomento per quello che è successo ad Alika, una brava persona che non ha mai dato problemi a nessuno, né ai cittadini, né alla polizia. Il 39enne era nato a Benin City, nel sud della Nigeria. Lui e la moglie si sono conosciuti in Italia e hanno deciso di sposarsi e di avere Emmanuel, che ora ha otto anni e frequenta una scuola elementare a San Severino. La vittima aveva ottenuto il permesso di soggiorno come lavoratore del commercio ambulante poco dopo essere arrivato nel nostro Paese, permesso che a breve gli sarebbe stato rinnovato.
In seguito all’incidente del 2021 aveva riportato una lesione permanente al nervo del polpaccio sinistro e la stampella era necessaria per riuscire a camminare. Il risarcimento dell’assicurazione era stato di 40mila euro, che avevano dato alla famiglia un po’ di respiro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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