«A Cuba la libertà corre su Internet»

Da vicino lo scrittore Leonardo Padura Fuentes - a Milano in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo La nebbia del passato, edito da Tropea (pagg. 380, euro 16,90) - mostra una folta barba e baffi neri che gli incorniciano il volto rotondo e olivastro. Dotato di una corporatura forte anche se minuta, ha le stimmate del perfetto rivoluzionario sudamericano, se non fosse per quello sguardo intenso e profondo con cui guarda in silenzio mentre mi presento.
Padura Fuentes appartiene a quella schiera di scrittori che non hanno mai abbandonato Cuba e, dall’interno dell’isola, prendendo a poco a poco le distanze dal regime, hanno continuato a proporre una narrativa di denuncia, in un paese costretto a sopravvivere alla penuria dei mezzi e che crede sempre meno all’illusione del sogno egualitario. Per rompere il ghiaccio gli dico che, in quanto ispanista, ho letto quasi tutti i suoi libri in lingua spagnola - fra cui Addio Hemingway (Tropea, pagg. 192, euro 13, traduzione di R. Bovaia) e Il romanzo della mia vita (Tropea, pagg. 375, euro 17,50, traduzione di E. Mogavero) - quindi gli confesso che ho imparato a conoscere e amare Cuba attraverso la letteratura e non già da un contatto diretto con la sua terra, che non ho ancora avuto la fortuna di visitare.
«Meglio così, perché è la letteratura dei cubani dell’esilio o degli scrittori che sono rimasti nell’isola che permette di conoscere meglio la realtà di Cuba. Il romanzo è uno straordinario mezzo di testimonianza sociale in assenza di una stampa che fotografi la realtà. Insomma, qui la letteratura sostituisce la cronaca ed ha conquistato un maggior spazio di riflessione, in un certo modo di indipendenza, divenendo più libera del giornalismo che è invece espressione dello stato».
Ciò significa che la stampa castrista tace sulla difficile situazione della vita cubana...
«Non è che tace; tende soprattutto a far conoscere solo l’immagine gratificante della società voluta dal progetto rivoluzionario e dall’ideologia marxista; in realtà la gente comune, i cubani dei quartieri poveri, preoccupati come sono di sbarcare il lunario, hanno da tempo rinunciato ai loro sogni e sempre di più ricorrono ad ogni espediente lecito o illecito per sopravvivere. Dopo la rottura avvenuta con la Russia di Gorbaciov, che ha improvvisamente ritirato il suo personale militare, allontanato gli esperti e i consiglieri economici e ha tagliato i rifornimenti di petrolio e i contributi necessari allo sviluppo moderno dell’isola, la situazione è di colpo precipitata; l’embargo successivo del 1992 decretato dagli Stati Uniti ha finito per strangolare la vita e il futuro del Paese. A poco a poco Cuba ha smesso di crescere, paralizzata dalla mancanza di mezzi. I problemi che interessano i cubani sono diventati come fare la colazione, il pranzo e la cena: una vera ossessione».
Si riferisce alla situazione sociale descritta nell’ultimo libro La nebbia del passato, che evoca il periodo della crisi degli anni Novanta?
«Sì, penso a quell’epoca che continua ancora nel presente. Mi riferisco al mutamento avvenuto a partire dal Novanta e alla difficile situazione economica, taciuta dalla stampa ufficiale e invece denunciata dalla finzione letteraria di numerosi scrittori cubani e documentata da molte opere d’arte, in particolare dal cinema, di cui ricordo il bel film Fragola e cioccolato, ispirato dal testo di Senel Paz. È questo il momento della nascita di una nouvelle vague letteraria e editoriale, pur in un settore colpito dalla penuria di carta, che si afferma Cuba e fuori di Cuba e che fotografa assai bene la vita e la società dell’isola».
Nel suo libro la cantante Violeta del Río rievoca con nostalgia l’epoca del trionfo del bolero e dei locali notturni degli anni Cinquanta durante la dittatura di Batista.
«Fu comunque un’epoca dominata dalla corruzione, la droga e la violenza della mafia americana, in cui però l’Avana, perla splendente dei Caraibi, era la città più viva e allegra del mondo: la gente si divertiva; la notte per il cubano cominciava alla sei del pomeriggio e non finiva mai. Si poteva trascorrere le ore fra oltre sessanta cabaret, ballare con Benny Moré, lasciarsi cullare dai bolero di grandi cantanti, incontrare in un casinò qualsiasi, seduto tra gli spettatori, Marlon Brando o Josephine Baker. La musica era nell’aria; la vita, anche se povera, era tenera e violenta».
È la stessa Avana descritta da Guillermo Cabrera Infante, lo scrittore cubano morto in esilio a Londra?
«L’Avana con i bolero, la musica, la vita notturna che appare nelle pagine del mio libro, è la stessa amata e cantata da Cabrera Infante, a cui tutti noi scrittori cubani dobbiamo molto. È lui che, con la sua scrittura barocca e il recupero di un linguaggio nato nei quartieri poveri della città alla fine degli anni Trenta, ha meglio descritto e definito la cultura cubana. È Cabrera Infante l’autore che meglio ha saputo interpretare l’anima e la mitologia della vecchia Cuba, un mondo ormai perduto».
Vi sono altri autori a cui si sente particolarmente vicino?
«Come scrittore ho nel mio bagaglio culturale numerose letture che hanno segnato più o meno profondamente la mia formazione letteraria, anche se ciò non vuol dire che esse siano presenti nei miei libri. I miei debiti vanno innanzitutto al romanzo latinoamericano di Rulfo, Carpentier, García Márquez e Vargas Llosa, ma non posso dimenticare l’opera di Fitzgerald, Auster e Hemingway. So di dimenticarne altri; ecco, ad esempio, lo spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, purtroppo morto prematuramente».
Volendo parlare della realtà italiana, conosce la produzione dello scrittore siciliano Andrea Camilleri?
«Ho letto alcuni dei suoi libri. Ammiro molto l’opera di Camilleri. Nel mondo ci sono due Paesi che si assomigliano: Cuba e l’Italia o, meglio, Cuba e la Sicilia. Le due isole formano un universo ricco di colore e passione».
Torniamo alla Cuba di oggi. Come giudica il recente cambio dal regime del Líder Máximo a quello del fratello Rául?
«In realtà ci sono due possibili cambiamenti: il primo, reale, che vuole voltare pagina e, un secondo, abbastanza facile da attuare, che consiste in un cambio della penna che firma nuovi documenti, concede motorini, telefonini e l’uso del computer, che però pochi cubani possono comprare. Tutte cose finora proibite da una volontà politica che, per fortuna, con l’avvento del fratello di Fidel, che è un uomo più pragmatico, si possono fare. Ma è solo l’inizio e occorre attendere un po’ di tempo per esprimere un vero giudizio».
Ma l’ingresso di Internet non facilita il processo di liberalizzazione?
«Due elementi hanno caratterizzato la società e la stampa cubana controllata dalla propaganda: la paura e l’informazione. Ora la paura comincia a scomparire e la gente prende sempre più coraggio e dice quello che prima non osava neppure pensare. Confido molto nell’informazione portata da Internet perché infranga per sempre il muro di silenzio finora imposto dalla ragion di stato.

Però, come le ho detto, occorre attendere: è ancora un sogno».
Mentre mi congedo da Leonardo Padura Fuentes, leggo la dedica lasciata sulla mia copia de La nebbia del passato che dice: «esta historia de muchos cubanos y de sus sueños». Appunto, sogni.

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