80 anni fa un pilota da caccia e le sue scarpe

Nell'ottantesimo anniversario della fine della Battaglia d'Inghilterra, Twitter è stato invaso di messaggi di ringraziamento, rivolti alla memoria dei piloti da caccia inglesi e agli atti d'eroismo compiuti. Per questo ci torna alla mente questa storia

80 anni fa un pilota da caccia e le sue scarpe
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Tra le centinaia di nomi e i numerosi aneddoti trovati nel bel libro scritto da Richard Collier nel 1966, dedicato "al pilota ignoto" - incentrato sulla battaglia che si consumò nei cieli dell'Inghilterra tra il 10 luglio e il 15 settembre del 1940 - c’è una vicenda decisamente singolare che riguarda uno dei tanti piloti da caccia britannici abbattuti in quella calda estate di guerra.

Un fatto curioso che a leggere le migliaia di messaggi di ringraziamento che in questo ottantesimo anniversario sono comparsi sui social network, sembrava giusto ricordare. Perché quando il 28 agosto l'ufficiale pilota John Axel Gibson ingaggiò un duello con dei caccia tedeschi, il militare indossava un bel paio di scarpe su misura che gli avevano appena consegnato, e che preferiva di gran lunga, per forgia e comodità, alle calzature con la punta di ferro d'ordinanza che venivano fornite dal ministero dell'Aeronautica.

Abbattuto un Bf-109, e danneggiatone un altro, si trovò colpito anche lui da un terzo caccia. Un sottile filo di glicole, segno che il suo aereo era stato colpito al motore, lasciava intendere che di lì poco avrebbe perso il controllo del suo Hurricane. Dunque per non rischiare di mettere a repentaglio la vita e le proprietà altrui - non capitava di rado che gli aerei precipitassero sui centri abitati o sui raccolti distruggendoli - decise di dirigere verso il mare con l'idea di lanciarsi solo allora con il paracadute. Questo però, non prima di togliersi le scarpe, legare tra loro i lacci, aprire la calotta e gettarle nel vuoto: in modo tale che l'acqua salata del mare non potesse rovinarle. Nuove com’erano. Manovrò con prodezza, perché era ardua la manovra per lanciarsi da un aereo in caduta libera, e finalmente, a 300 metri dal pelo dell'acqua, si lanciò. Senza scarpe, nella Manica. Tirata la funicella del paracadute a cui sera saldamente legato attraverso l’imbracatura, atterrò velocemente nell'acqua placida, e vi rimase fino a quando una lancia di salvataggio non andò a recuperarlo per riportarlo sulla terra ferma. Nel tragitto verso la base, zuppe erano l’uniforme, la camicia, il foulard legato al collo; i calzettoni, i guanti e il casco di pelle da pilota, come intriso d'acqua era anche il salvagente "mae-vest" che lo aveva tenuto a galla, a due miglia a largo di Folkestone.

Solo una cosa si trovò presto asciutta addosso: le sue scarpe su misura che scoprì essere "tornate alla base" lasciandolo sinceramente perplesso. Questo finché non scoprì che erano accompagnate da un biglietto con su scritto “grazie”.

Le aveva spedite un contadino molto cortese che non si era firmato, ma aveva assistito alla prodezza e aveva recuperato le scarpe. Aveva deciso di indirizzarle casualmente al campo d'aviazione di Hawkinge. Supponeva che quel pilota coraggioso provenisse da lì. Non aveva sbagliato.

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