"La chimica è un linguaggio e per scrivere usa gli atomi"

Il giallista-scienziato Marco Malvaldi: "È il modo più efficace per descrivere la realtà. E senza vivremmo male"

"La chimica è un linguaggio e per scrivere usa gli atomi"

Dopo avere scritto di scienza e di matematica, Marco Malvaldi - famoso per I delitti del BarLume - torna alle origini. La chimica. Ne parla in un saggio (Cortina, pagg. 206, euro 19; lo presenterà oggi a Bookcity alle 14, al Museo nazionale della scienza e della tecnica di Milano) intitolato L'architetto dell'invisibile.

Perché un libro sulla chimica?

«È che la chimica, la materia che ho studiato all'università, è un po' negletta. È quella dei brutti, sporchi e cattivi che inquinano... Ma è la disciplina che mi ha formato come persona».

Come mai si iscrisse a Chimica, a Pisa?

«Volevo studiare una materia scientifica, ma anche fare qualcosa con le mani. E, una volta scoperta, questa materia dà dipendenza».

Anche suo padre era uno scienziato.

«Immunologo. Mi sarei dovuto iscrivere a Medicina ma, proprio quell'anno, lui fu eletto preside di facoltà. Se lo immagina? Neanche sotto tortura...».

È un «chimico fisico». Che significa?

«Una persona che studia oggetti chimici, come molecole, liquidi e cristalli, però con utensili teorici e sperimentali della fisica, come la meccanica quantistica o la spettroscopia».

In pratica?

«Non so tanto della chimica intesa comunemente, le reazioni da laboratorio, con i loro colori meravigliosi; per esempio studio in che modo le molecole si autorganizzano o come interagiscono con la luce».

La chimica è ostica.

«È considerata così. Di solito al liceo è insegnata male. Del resto, nemmeno il professore più entusiasta riuscirebbe a insegnarla bene, con i programmi deliranti del ministero. Meglio un istituto tecnico».

Perché dice che è insegnata male?

«Sembra un formulario fra il medievale e il burocratico. Non si capisce perché accadano le cose».

Che cos'è la chimica?

«La scienza della trasformazioni. Il padre è Lavoisier, che ha dato la forma mentis al chimico: devi studiare un processo, non un materiale».

Come si fa?

«La chimica è un linguaggio. Gli atomi sono le lettere, le molecole sono le parole, i processi sono le frasi. Ogni linguaggio umano è un susseguirsi di relazioni: la chimica è una relazione fra ciò che si vede, il macroscopico, e ciò che non si vede».

La definisce «un manuale di istruzioni, senza garanzia».

«Sì, e anche molto lungo. È un modo, per il nostro cervello, di venire a patti con la realtà, non la realtà. Però fino a oggi è il modo migliore per descriverla a un livello compatto ed esaustivo».

Come pensa un chimico?

«Le prime due categorie, inscindibili, sono quantità e qualità. A quantità adeguate l'acqua può uccidere, e il cianuro essere innocuo. La simmetria dice molto delle proprietà dinamiche di una molecola».

Altre categorie?

«Un chimico non pensa mai in termini di naturale o artificiale: una molecola è una molecola. Quando sente la frase: Questo fa bene, è tutto naturale, il chimico si gratta: gli viene in mente che anche la cicuta e il veleno dello scorpione sono naturali».

C'è un pregiudizio verso la chimica?

«Sì, perché se ne vede tutto il brutto e non c'è consapevolezza del suo bello. Per esempio ora indosso una maglietta di un tessuto sintetico che mi tiene un caldo meraviglioso; tre ore fa avevo mal di testa, ho preso un oki e in mezz'ora mi è passato; e sto guidando una macchina con centraline elettroniche, che sarebbero impossibili senza i polimeri».

I polimeri?

«Come il polipropilene, che in natura non esiste. Senza la plastica, tutta l'elettricità e l'elettronica sarebbero impossibili. Perciò, a chi dice che la plastica inquina, rispondo: va bene, ma voglio vederti che usi la macchina per scrivere e il piccione viaggiatore. Un'altra categoria è quella costi/benefici».

Per esempio?

«Fritz Haber sintetizzò, e poi utilizzò in prima persona, come colonnello, i gas urticanti, che nella Prima guerra mondiale causarono migliaia di morti orribili. Però mise a punto anche la sintesi industriale dell'ammoniaca, che ha permesso di usare fertilizzanti di sintesi anziché solo il letame».

E quindi?

«Questi fertilizzanti hanno salvato la vita a milioni di persone, che prima morivano di fame.

È anche grazie alla chimica se oggi siamo sette miliardi. E senza di essa non esisterebbe tutta la farmacologia moderna: mangeremmo cibi naturali, sì, ma andremmo al creatore per una appendicite. Se rinunciassimo a tutta la chimica dal 1900 a oggi vivremmo veramente male».

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