Giornalista, scrittore e opinionista televisivo. Giampiero Mughini, autore di oltre 40 libri (l'ultimo Nuovo dizionario sentimentale: Delusioni, sconfitte e passioni di una vita), imperversa da decenni nelle varie trasmissioni televisive con le sue argute e pungenti osservazioni. A 80 anni compiuti, il giornalista d'origine siciliana ricorda gli anni della giovinezza trascorsa a Parigi nel vivo della Contestazione del maggio '68 e i suoi esordi nel mondo della carta stampata come redattore di Paese Sera.
Perché decise di intraprendere la carriera giornalistica?
«Mi ero accorto subito che non avrei saputo fare qualcosa di serio, tipo il chirurgo o l'architetto o il pilota di caccia. E invece imparai presto a battere alla macchina da scrivere Olivetti. Appena arrivato a Roma, nel gennaio 1970, mi chiesero difatti di battere alla macchina da scrivere un articolo. Mi pagarono. Cominciò da lì non la mia carriera giornalistica (che non ho mai fatto) e bensì i circa quarant' anni in cui ho tratto il mio reddito dai giornali».
Cosa hanno rappresentato per lei gli anni della Contestazione?
«Sono stati anni fortunati, in cui ho abbellito la mia condizione di ventenne senza arte né parte con le favole che mi raccontavo sulla Cuba di Che Guevara o sulla Cina di Mao. L'essere stato prima dentro quelle favole o poi averle raschiate via dalla mia pelle è stato l'atto fondamentale della mia formazione intellettuale e morale».
Ha un ricordo particolare del Maggio francese del '68?
«Ne ho moltissimi, perché quei mesi sono stati fra i più intensi della mia vita. Ad esempio il ricordo una bellissima ragazza parigina intruppata con noi in un corteo che riempiva un intero boulevard. Mentre mi vergogno ancora del momento in cui presi a scagliare dei pavés contro i poliziotti francesi, che erano lì a guadagnarsi il pane, e che mi vennero addosso rompendomi una mano com' era nel loro pieno diritto. Per essere quello uno psicodramma non poteva avere scenario migliore».
Lei ha interpretato la parte dell'intellettuale nel film Sogni d'oro di Nanni Moretti. Lei si sente un radical-chic di sinistra?
«L'intellettuale che interpretavo era sommerso dall'autoironia. Io radical-chic? A vent' anni vivevo in una casa di borghesia impoverita dove non avevamo di che acquistare una bottiglia di vino né tantomeno il televisore. Quando sono arrivato a Roma avevo cinquemila lire in tasca. Quando mi sono dimesso dal quotidiano Paese Sera perché non ne potevo più di stare in un giornale comunista, e avevo già 37 anni, non sapevo come pagare l'affitto il mese successivo. Non vedo proprio quali attinenze avrei potuto avere con l'antropologia dei radical-chic, ai miei occhi la più squallida di tutte».
Da metà anni '80 in poi sono iniziate le sue incursioni nel mondo della televisione. Si è trovato meglio in Rai o in Mediaset?
«Da quelle che lei chiama incursioni nel mondo della televisione ho imparato non poco quanto alla mia attività fondamentale, lo scrivere sui giornali e lo scrivere libri. Tanto a Rai che a Mediaset ho avuto a che fare con gente di talento e con dei cretini. Con i primi mi sono trovato benissimo, con i secondi mi sono detto che dovevo pur campare. Non mi chieda di fare dei nomi».
Veniamo alla politica. Prima della pausa estiva è stata approvata la legge Cartabia e, in materia di giustizia, è in corso la raccolta delle firme per i referendum promossi dalla Lega e dai Radicali. Lei li firmerebbe?
«No, perché ritengo che i problemi molto complessi della giustizia si possano affrontare a partire dal sì o no a un referendum. Il problema della giustizia in Italia si è sedimentato in decenni e i problemi sono complicatissimi e intrecciati tra loro. Il referendum, per me, resta quello del divorzio. Sì o no al divorzio è un quesito semplice, mentre la giustizia è dieci volte più complessa».
Calcio. Si aspettava la vittoria dell'Italia di Mancini agli Europei?
«No, non mi aspettavo la vittoria dell'Italia agli Europei da quanto mi sembrava fosse divenuto mediocre il nostro torneo di serie A. Mancini è stato geniale nell'attingere i giocatori migliori di quel torneo e trasformarli in un undici pressoché irresistibile».
Come nasce la sua passione per la Juventus?
«A dieci anni, giocando con le figurine Panini: mi piacquero in modo particolare quelle che raffiguravano Giampiero Boniperti e Ermes Muccinelli, che era piccolo e nervoso come lo ero io a dieci anni». Chi pensa che vincerà il campionato? «La squadra migliore nell'arco delle 38 partite».
Come ha vissuto il periodo del lockdown?
«L'ho vissuto come ho vissuto tutti gli ultimi anni della mia vita, in casa mia tra i miei libri e i miei dischi».
Ha mai avuto paura di viaggiare sotto pandemia?
«Assolutamente no».
A tal proposito, un'ultima curiosità: dove ha trascorso le vacanze quest' anno?
«Sono stato dieci giorni in Puglia, che quanto alle vacanze è tra le regioni più belle e ospitali d'Italia. E quando il sud è bello, è veramente meraviglioso».
Da scrittore, c'è un libro in particolare che consiglierebbe di
leggere sotto l'ombrellone?«Sicuramente non consiglierei a nessuno i miei libri perché richiedono un po' di applicazione e la lettura in generale dovrebbe essere un'attività da svolgere con molta applicazione».
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