25 maggio 1996. Un quarto di secolo fa. Nella sua casa di Monteverde, Roma, moriva Renzo De Felice, 67 anni (era nato a Rieti l’8 aprile 1929). Se ne andava uno dei più importanti storici italiani di sempre, nel cui nome si erano combattute aspre battaglie ideologico-culturali. Una passione per la storia istintiva, nata e cresciuta anche fuori dal liceo Mameli, dove il giovane studente originario di Rieti non aveva certo brillato per i risultati conseguiti. Dopo la maturità classica conseguita da privatista, il padre costrinse il figlio a iscriversi a giurisprudenza. Per un funzionario delle dogana reduce della Grande Guerra (rimasto tra l’altro invalido a vita a causa dei gas utilizzati sul fronte) sarebbe stata certamente una soddisfazione avere l’unico figlio avvocato o magistrato. De Felice lo accontentò, ma dopo un anno cambiò facoltà e iniziò a frequentare filosofia, nonostante i suoi desideri lo spingessero verso lettere. Il grande storico ricordava così quel periodo della sua vita: “scelsi filosofia sia per evitare il terribile esame scritto di latino con Paratore, sia per la convinzione molto diffusa tra quelli come me che si consideravano marxisti che una preparazione filosofica fosse premessa indispensabile al genere di studi che mi accingevo a intraprendere”. Ettore Paratore (1907-2000) è stato uno dei più grandi latinisti italiani ed europei; l’esame di letteratura latina con i suoi manuali e con lui stesso seduto dall’altra parte della cattedra è stato uno scoglio durissimo, una vera montagna da scalare per generazioni di studenti della Sapienza di Roma.
Alla fine degli anni Quaranta De Felice iniziò la militanza nel Partito comunista italiano da trotskista, cioè propugnatore dell’espansione a livello mondiale della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia. Negli anni Cinquanta De Felice, che nel frattempo aveva iniziato a frequentare a tempo pieno lezioni e seminari di storia, entrò in contatto con gli storici più importanti dell’epoca. Il primo fu Federico Chabod (1901-1960) che lo guidò nella tesi di laurea su ‘Correnti di pensiero politico nella prima repubblica romana’, discussa dal De Felice il 16 novembre 1954. Lo stesso Chabod spinse i primi saggi e le prime recensioni del giovane allievo. Poi nel 1955 Rosario Romeo (1924-1987), faro della storiografia crociana, all’epoca segretario dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Ennesimo incontro assolutamente fondamentale per il percorso di De Felice fu con un’altra autorità della cultura italiana: lo studioso Delio Cantimori (1904-1966), punta di diamante della storiografia marxista. Rapporti che avrebbero superato la dialettica maestro-allievo, come ricordato in seguito da De Felice stesso: “si trasformavano in un’amicizia personale. In un’amicizia che spesso finiva per vanificare le differenze di età e i termini classici del rapporto maestro-allievo e per diventare un rapporto umano, intimo”. Infatti l’allievo seguì l’amico e maestro anche nel 1956, quando il segretario del Pcus Chruščëv denunciò dal palco del XX congresso del partito i crimini staliniani. Cantimori e De Felice furono tra gli intellettuali che abbandonarono il Pci. De Felice, dopo un breve passaggio nel Partito socialista, abbandonò la militanza partitica. Nel 1960 lo storico reatino giunse agli studi sul fascismo da quelli sulle comunità ebraiche in Italia, già affrontati in passato e rinverditi da una “Storia degli ebrei italiani durante il fascismo” del 1961. Un periodo turbolento per le vicende repubblicane: il 30 giugno 1960 Genova, medaglia d’oro della Resistenza, fu scossa da violenti scontri di piazza esplosi in occasione dei lavori in città del 6° congresso nazionale del Movimento Sociale, in quel momento determinante con i suoi parlamentari per la tenuta del governo guidato dal democristiano Fernando Tambroni. Le piazze di diverse città italiane si sollevarono, il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia la repressione violenta della polizia provocò 5 morti tra i manifestanti. È come se in quel drammatico frangente lo sguardo dello storico e quello del cittadino fossero diventati un tutt’uno. E fossero venute a piena e completa maturazione alcune peculiarità dello storico reatino: la ricerca minuziosa, il gusto intellettuale per i temi ardui e scomodi, il fiuto nella lettura delle pieghe dei fatti e delle fonti, la “diffidenza critica” che il maestro Cantimori aveva visto in lui. In quella temperie nasce il percorso che consacrerà De Felice tra gli immortali della cultura italiana: gli studi sul fascismo e sulla vita di Benito Mussolini.
Fu lo stesso storico a chiarire i suoi intenti nell’avvicinarsi al ventennio fascista: fino ad allora esisteva sul tema una storiografia ufficiale incapace di cogliere quanto “la realtà di questo fenomeno storico sia veramente prismatica e vada studiata e giudicata in tutte le sue componenti e non intesa come qualcosa di unitario»; per questo, auspicava l’avvio di una nuova storiografia capace di porre «la valutazione storica del fascismo su basi nuove e più rigorose” (“Il nuovo osservatore”, novembre 1960). La biografia di Mussolini, iniziata nel 1965, è un’opera monumentale: sia per la mole, 6284 pagine, sia perché il personaggio diventa un modo per raccontare una realtà storica complessa, quella dell’Italia a cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo. Basta scorrere i titoli degli 8 volumi che compongono la gigantesca biografia: Mussolini è, di volta in volta, il rivoluzionario, il fascista, il duce e l’alleato. De Felice tenne la barra dritta e ferma su una terza via tra dogmatismi delle sinistre (la polemica sulla ‘retorica dell’antifascismo’ è del 1987) e gli interessati revisionismi funzionali a una destra all’epoca in cerca di legittimazione; testimonianza di un’autorità culturale e morale davvero fuori da ogni schema precostituito. Ma quest’indipendenza gli costò contestazioni anche violente praticamente fino alla fine dei suoi giorni. L’ultima, un lancio di molotov contro la sua abitazione all’alba del 15 febbraio 1996, quando De Felice era già malato; infatti in quel momento non si trovava in casa perché si era recato in ospedale per alcuni accertamenti clinici. Non si contano poi gli attacchi mediatici e le contestazioni all’università subìti dallo storico. A 25 anni dalla morte restano tanti discepoli di De Felice entrati nel gotha degli storici italiani: Giovanni Sabbatucci, Giuseppe Parlato, Emilio Gentile, Paolo Mieli, Francesco Perfetti, Mauro Canali.
Tutti grandi studiosi e grandi divulgatori, due piani mai scissi tra loro nell’opera e nella vita di De Felice. Indro Montanelli ne scrisse sul Giornale a modo suo, cogliendo la sostanza del percorso e della figura di Renzo De Felice nella risposta a un lettore negli anni Novanta: “Con un coraggio che oggi appare facile, ma che venti o dieci anni or sono era eroico, De Felice ha dato e negato a Mussolini e al fascismo tutto ciò che riteneva fosse giusto concedere e togliere. Così facendo, non demonizzò Mussolini in tempi nei quali per i carrieristi era d’obbligo farlo, e le solite Vestali dell’antifascismo si stracciarono le vesti pretendendo che gli fosse tolta, per reato di imparzialità (secondo loro di filofascismo), la cattedra universitaria. L’Italia, e anche il mondo culturale italiano si nutrono di conformismo, di insinuazioni, di scomuniche ideologiche. Impavido, De Felice è passato attraverso questi frangenti, non curandosene, in nome della Storia con la S maiuscola”. L’intellettuale liberale Piero Gobetti (1901-1926) nella sua genialità aveva colto la natura del fascismo quale autobiografia della nazione sulle colonne della rivista “La Rivoluzione liberale” il 23 novembre 1922, neanche un mese dopo la marcia su Roma del 28 ottobre.
Si potrebbe azzardare che Renzo De Felice abbia poi scritto quest’autobiografia con i suoi studi sul fascismo e su Mussolini, costringendo anche gli italiani a fare i conti con le proprie storie e con la propria Storia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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