Anarchico è anarchico David D. Friedman, su questo niente da dire. Il fatto è che il 67enne economista americano, figlio d'arte del leader della scuola di Chicago, e premio Nobel, Milton, rappresenta una specie particolare del ramo: è un anarco-capitalista convinto. A partire dal suo primo libro The machinery of freedom (1973, in italiano L'ingranaggio della libertà. Guida a un capitalismo radicale. Liberlibri) Friedman ha teorizzato un capitalismo integrale e coerente, che riguarda non soltanto gli scambi economici, ma anche le leggi, che non dovrebbero essere imposti da uno stato sovrano, ma nascere da libera contrattazione tra privati. Friedman è convinto che si debba arrivare per gradi, attraverso una serie di privatizzazioni, a togliere allo Stato il ruolo di controllore della vita pubblica, incluso il diritto, anche quello penale. «Produrre leggi non è più semplice che produrre automobili o cibo» ha detto Fridman a Il Giornale. «Visto che normalmente non compriamo cibo o automobili da un Governo, perché mai dovremmo aspettarci che faccia un buon lavoro producendo un sistema legale?». Friedman si trovava a Milano proprio per una conferenza dal titolo Legge senza lo stato (incontro organizzato dall'Istituto Bruno Leoni).
Abbiamo esempi, teorici e storici, di stato senza legge?
«Certamente. Spesso la gente parla di proprietà come se fosse un dono dello Stato, ma non è così. La proprietà esiste non solo prima dello stato, ma addirittura prima della specie umana. Il concetto di comportamento territoriale, cioè di possesso di un territorio, esiste già tra gli animali».
E vale anche per gli umani?
«Sì. Gli umani hanno un'idea pre-contrattuale di quelli che sono i loro diritti di proprietà. Thomas Hobbes ha descritto molto bene lo stato di natura. Anche il fatto che la polizia difenda i territori è indice di una sorta di analisi di costi e benefici generali».
Ci sono anche esempi storici?
«Certo, nella Cina imperiale non c'era un vero diritto contrattuale. Ed è questo che ho cercato di teorizzare nel mio primo libro. Una società in cui le norme non sono decise dall'alto, ma sono il frutto di una continua negoziazione tra i diversi interessi privati. Ma se ci pensa questa è anche la condizione contemporanea. Pensi a quello che succede con il cyberspazio».
Cadono le regole univoche per il commercio?
«Non reggono perché le contrattazioni avvengono tra gente che appartiene a sistemi con leggi diverse. Però esistono lo stesso delle regole».
Per esempio?
«Guardi quel che succede su Ebay. C'è un meccanismo complesso basato sulla reputazione del venditore. Chi compra assegna un punteggio, e quindi, al di là della legge si riesce a sapere se chi vende è affidabile o meno. È un processo da pari a pari».
Il che dovrebbe valere anche per il diritto?
«Certo. Se entrambi scelgono una corte di cui si fidano, attraverso un processo di negoziazione. E questo vale anche per la produzione di leggi. Attualmente ci affidiamo al sistema democratico. Ma come facciamo a sapere cosa ha fatto veramente un presidente? Non lo sappiamo, nei fatti. Perché informarsi, documentarsi davvero prende tempo ed è costoso: è troppo costoso per il risultato, semplicemente non ne vale la pena. Ci vogliono fior di economisti per sapere cosa ha fatto davvero Obama».
E qual è la soluzione?
«Nel sistema che descrivo ci sono aziende in concorrenza che forniscono i servizi, anche legislativi, di solito affidati ai governi».
Liberismo estremo, dunque. Vale anche per i discorso etico?
«Chiaro che il progresso scientifico ha buone e cattive conseguenze. Il mio ultimo libro teorico si chiama Futuro imperfetto, e parla proprio della rivoluzione tecnologica che potrebbe accadere nei prossimi trent'anni. Il fatto è che ne sappiamo davvero poco. Pensi alla faccenda del riscaldamento globale: un evento ciclico, naturale, che spesso si prende per un fenomeno dovuto all'uomo».
Ma se qualcosa nello sviluppo tecnologico va storto, come fermare la tendenza in una prospettiva anarchica?
«Be' le due tecnologie più pericolose, potenzialmente, sono le biotecnologie e le nanotecnologie. In entrambe il vero pericolo è che si sviluppino tecnologie in grado di uccidere la gente. Ma chi potrebbe davvero avere i soldi per sviluppare questo tipo di tecnologie? Solo i governi, i militari».
Lei è un appassionato studioso del Medioevo. Come mai questa passione?
«È un periodo interessante. Era un'epoca in cui i governi erano fortemente de-centralizzati. Il luogo comune secondo cui il Medioevo sono i Secoli bui sarebbe da rivedere».
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