Il Dalai Lama annuncia: «Vado in pensione» Incerta la successione

Forse Sua Santità pensa veramente alla pensione. Forse l’Oceano di Saggezza sogna veramente di tornare, Cina permettendo, tra i picchi del suo Tibet e attendere in santa pace l’attimo fatale. Ma forse il 76enne Dalai Lama ha altri pensieri. Forse vuole solo fregare i cinesi e garantirsi un successore svincolato dal controllo di Pechino. Quale sia la verità, la decisione è vicina. A farlo capire ci pensa lo stesso leader spirituale raccontando a una tv indiana d’esser pronto a ritirarsi a vita privata «entro sei mesi» per trascorrere gli ultimi anni nella terra natale. «La mia posizione è già adesso di quasi pensionato - ammette, facendo intendere di aver da tempo delegato decisioni importanti ai leader del governo tibetano in esilio - Per questo mi sentirei meglio se non fossi più coinvolto in queste attività».
Tra il dire ed il fare c’è di mezzo tutto il suo immenso Oceano di Saggezza. Nonché il suo irrinunciabile ruolo di semidivinità vivente. Può uno spirito degli spiriti, discendente e sintesi di tutti i propri predecessori, abbandonare al proprio destino il popolo e la causa del Tibet? Forse no. Forse dietro l’ anticipato abbandono si nasconde un nuovo capitolo della complessa partita a scacchi che contrappone Sua Santità e Pechino. L’obbiettivo della partita è il controllo della successione e la nomina del prossimo Dalai Lama.
Tutto inizia nel 1995 quando Sua Santità sceglie Gendun Choekyi Nyima, un bimbo tibetano di sei anni come Panchen Lama. La decisione sembra garantire la tradizione. Spetta infatti al Panchen Lama - seconda gerarchia spirituale reincarnata - confermare dopo la morte del Dalai Lama la scelta della sua reincarnazione. Tutto si basa sulla la «yang srid», la procedura per l’identificazione del bimbo in cui è trasmigrato lo spirito del defunto. La ricerca - iniziata consultando un oracolo - prosegue seguendo la direzione del fumo che si leva dalla pira del Dalai Lama defunto o le visioni scaturite dalle acque del Lhamo La-tso, il laghetto sacro incastonato tra i ghiacciai del Tibet. Una volta individuato il prescelto - dopo anni di ricerche - i Grandi Lama mostrano al candidato una serie di oggetti appartenuti al predecessore. Se sa riconoscerli, è portato con la famiglia a Lhasa per la definitiva consacrazione affidata al Panchen Lama.
Consapevoli del ruolo cruciale del Panchen Lama i cinesi nel 1995 reagiscono facendo sparire Gendun Choekyi e i suoi genitori e nominando come Panche Lama alternativo un tale Gyaltsen Norbu. Oggi quel finto Panchen Lama ha 17 anni ed è pronto a obbedire ciecamente a Pechino. In questa situazione se il Dalai Lama non trova una contromossa i fedeli tibetani rischiano di non potergli trovare successore. Il Panchai Lama farlocco avrebbe, infatti, facile gioco nello scartare ogni prescelto indicato dalle autorità religiose in esilio e affidare a una pattuglia di Grandi Lama selezionati dal Partito comunista la scelta finale. Sua Santità deve, dunque, usare il tempo che gli resta per evitare uno scacco matto capace di sotterrare lui e l’intera tradizione tibetana. In passato ha già accennato ad alcune soluzioni. La prima risale al 1969 quando dichiara che spetterà al popolo tibetano decidere se la tradizione debba continuare o interrompersi. Successivamente il Dalai Lama ricorda più volte di non aver alcuna intenzione di reincarnarsi in un Paese controllato dalla Cina o in una terra dove non vi sia libertà. Due sono dunque gli scenari possibili. Il primo più concreto, vista l’intervista, è quello di un ritiro anzitempo seguito dalla nomina di un successore. Quell’erede non sarebbe un vero Dalai Lama, ma eviterebbe di fare i conti con Pechino in attesa di scovare la reincarnazione designata. Un’altra via d’uscita è la consacrazione della volontà, già espressa dal Dalai Lama, di reincarnarsi soltanto in una terra libera.

Questa scelta escluderebbe dalla ricerca qualsiasi bimbo nato nei territori controllati da Pechino. In entrambi i casi il rischio è la definitiva separazione tra il Tibet della diaspora rifugiato in India e il Tibet sotto controllo cinese.

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