Non ho mai avuto timore a confessarlo: ho sofferto, soffro e soffrirò per sempre di depressione. Chi conosce questa malattia sa bene che guarire è impossibile. Però, sa anche che ci si può convivere, questo sì. Un bravo psichiatra quasi sempre riesce a trovare il cocktail di pillole che «coprono» il mal di vivere, che gli impediscono di esplodere, di annientare la volontà, di far precipitare nel burrone della disperazione chi ne soffre, fino a spingerlo addirittura a cercare la morte. Perché di depressione si muore. Talvolta il gesto estremo - forse sarebbe più giusto chiamarlo col proprio nome: liberazione - avviene platealmente, talvolta mascherando il suicidio in un incidente. Tant’è che gli studiosi affermano l’impossibilità di calcolare con precisione il numero delle vittime causate dal «male oscuro», come l’ha definito con struggente ermetismo Berto. Nemmeno si sa con certezza quanti siano davvero quelli che ne soffrono: dieci italiani su mille dicono le statistiche. Ma quanti sono quelli che per ignoranza loro, e spesso talvolta pure dei medici di base, non collegano il proprio «star male» alla depressione? Tanti, insistono gli studiosi.
Tutto questo, per far capire al lettore che cosa ho provato ieri mattina quando dalla mazzetta dei quotidiani ho sfilato il Corriere della sera. In prima pagina una grande foto di Christian Vieri, sdraiato sul campo a occhi chiusi, e sotto un titolo che non lasciava spazio ad alcun dubbio. «Vieri racconta: io e la depressione». Poveraccio, ho pensato, pure lui. Già, perché tra chi soffre di questa malattia c’è una sorta di fratellanza. Quasi massonica, visto che purtroppo nella maggior parte dei casi nessuno ama dichiararsi. Come se ci si dovesse vergognare di un male che può colpire chiunque.
Devo confessare che la spontanea compassione nei confronti del popolare giovinotto è durata pochi istanti. Il tempo di leggere il titolino sopra la foto: «Avevo uno stipendio da 1.500 euro al mese». Ho trattenuto un’irrefrenabile incazzatura fino quando non sono arrivato all’ultima riga dell’articolo. Poi, è esplosa e sono entrato nell’ufficio del direttore, Mario Giordano, per chiedergli il permesso di scrivere questo pezzo.
Dunque, per chi non l’ha letto, i fatti sono questi. Vieri ha chiesto 12 milioni di euro alla Telecom e 9 milioni e 250mila all’Inter come danni di immagine, alla vita di relazione e per mancati guadagni. La prima sarebbe colpevole di aver indagato su di lui, pedinandolo e controllando i suoi tabulati telefonici. La seconda sarebbe colpevole di aver commissionato quest’attività di spionaggio nel tentativo di capire le cause dello scarso rendimento del giocatore.
Ovviamente, non è la vicenda in sé ad avermi innervosito. Chissenefrega. Se non fosse che l’ex attaccante nerazzurro sostiene che a causa di tutto questo ha cominciato a soffrire di depressione. Ad aumentare la sua prostrazione, l’ingaggio offertogli dall’Atalanta, squadra nella quale ora gioca: 1.500 euro al mese, appunto. Cifra che lo deve aver profondamente umiliato. E lo si può capire: dalle brioche al pane secco è sempre un bel trauma. Anche se centomila euro a contratto per ogni gol segnato avrebbero dovuto in parte tirargli su il morale.
Un certificato medico depositato al Tribunale civile di Milano - sempre secondo il Corriere della sera - attesta la depressione di Bobo Vieri. Quindi, uno psichiatra del quale non viene fatto il nome, ma che sicuramente sarà bravissimo ed espertissimo, attesta che i pedinamenti, il piccolo scandalo che scoppiò quando la cosa divenne nota, e non ultima l’offesa delle 1.500 euro mensili hanno fatto nascere nel giocatore la gravissima malattia che, purtroppo, conosco e con la quale - talvolta bene e talvolta malamente - convivo. E con me, altri 10 italiani ogni mille. Certo, se l’ha scritto un clinico, il problema esiste. E non avrebbe senso né sarebbe corretto dubitarne. O essere così meschini da legare la sua malattia al risarcimento milionario. Tantomeno potrà fare il Tribunale, considerando che è scientificamente impossibile confutare la tesi del medico di Vieri. Non c’è modo.
Vieri, ora, oltre che un fenomeno sul campo potrebbe diventare un fenomeno anche per i testi di psichiatria. Per la prima volta, infatti, verrebbe dimostrato che questa malattia ha una causa certa, provata. Un vero colpo di scena per tutto il mondo scientifico, soprattutto quello americano, che da anni studia la depressione e che ancora si sta dannando per cercarne la causa: l’unico punto a cui sono arrivati finora è si tratti di biochimica cerebrale. Tant’è, che molti luminari hanno sempre corretto chi parlava di depressione legandola a un fatto specifico. Ti muore la mamma - hanno sempre detto -, sarai disperato, straziato, ma quella non è depressione, è dolore. Ti hanno licenziato, sarai furibondo, preoccupato, umiliato, ma quella non è certo depressione.
Poco tempo fa, un altro campione, Gigi Buffon, ha raccontato, all’uscita del suo libro, d’aver sofferto di depressione e di come non riuscisse a spiegarsi che un uomo che ha tutto, come lui, potesse non trovare quella tranquillità interna che l’aiutasse a superare ansie e timori. Già, perché una causa vera e propria non c’è.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.