È una devastazione continua con la fame arriva la violenza

«Dobbiamo avvisarvi. Una volta al di là della frontiera, quello che vi attende è l'inferno». Il viatico, poco benaugurante, ma doveroso, è quello che le guardie della Repubblica Dominicana danno ai cronisti di tutto il mondo che dopo un viaggio via terra si affollano al confine per entrare ad Haiti, devastata dal terremoto di martedì scorso. Le guardie che sorvegliano la frontiera di Malpasse - sembra uno scherzo, ma la località si chiama proprio così - verificano nomi, testate di appartenenza e passaporti. Poi li avvertono su che cosa troveranno. Il loro è una sorta di dantesco «lasciate ogni speranza o voi che entrate» che suona per nulla stonato all'ingresso di quello che da Paese già biblicamente povero è diventato in sessanta secondi un autentico girone infernale.
Perché al di là di quella sbarra, «nella città dolente», agli ovvi rischi legati all'igiene e a quell'autentica bomba a orologeria che sono le infezioni, destinate prima o poi a scoppiare, si aggiunge ora il pericolo terribile di un'altra esplosione. Quella di una violenza senza uguali, dalle conseguenze potenzialmente incalcolabili, che potrebbe aggravare lo stato di indicibile caos e perfino il già drammatico elenco dei morti, che si allunga ora dopo ora.
All'affannosa e ormai sempre più disperata ricerca di cibo e di acqua da parte dei sopravvissuti, tradottasi fin da subito dopo il sisma nel prevedibile fenomeno dei saccheggi, ora si aggiunge infatti una notizia da accapponare la pelle. Ai sopravvissuti, ai volontari, così come alle prime squadre di soccorritori in arrivo da tutto il mondo. Perchè nelle strade di Port-au-Prince si aggirano almeno 4mila criminali fuggiti dal carcere centrale.
La notizia, come una seconda maledizione, è arrivata da Ginevra, dal Comitato internazionale della Croce Rossa: «La prigione è stata completamente distrutta, ci sono stati dei decessi, ma tutti gli altri detenuti, circa quattromila, hanno approfittato del disastro e sono scappati», ha dichiarato il portavoce Marcal Izard, riportando informazioni raccolte dai delegati del Comitato che, prima del terremoto, visitavano periodicamente il carcere centrale. Non è quindi un caso se all'alba di ieri, i primi a varcare il confine siano stati i soldati guidati da Rafael Delapena, capo delle forze armate dominicane, impegnato a coordinare, insieme a ciò che resta delle forze di sicurezza haitiane, il trasporto dei primi aiuti via terra. Servono infatti elmetti e fucili spianati per assicurare al lungo convoglio di automezzi carichi di cibo, acqua e medicinali, nonchè a chi li guida, l'incolumità che meritano. E che non è certo facile assicurare quando nelle strade, oltre alla «perduta gente», si sono riversati in massa galeotti e pendagli da forca, già presumibilmente armati quantomeno di taglientissimi machete.
Un quadro allarmante, in un Paese perdipiù al momento totalmente privo di una qualsiasi autorità di governo, nel quale non può che giungere come benvenuta la decisione del presidente americano Barack Obama di inviare fino a novemila militari sull'isola. Pur se corredati dalla dovuta e «pelosa» precisazione del portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, che «è il governo haitiano ad avere il controllo di Haiti».
Che in città, intanto, comincino già a esserci i primi preoccupanti disordini, lo ha reso noto l'ambasciatore di Haiti presso la Sante Sede, Carl Henri Guiteau: «Ci sono state reazioni da parte della popolazione che si è sentita abbandonata ed è senza cibo e senza acqua potabile», ha detto il diplomatico.

Aggiungendo che «in un simile contesto la violenza non è troppo lontana», specie tenuto conto che «gli aiuti arrivano in maniera discontinua e ci sono enormi problemi di logistica dal momento che l'aeroporto è poco praticabile e i porti non sono agibili». Per non dire delle strade. In alcune arterie della capitale la gente ha iniziato a creare blocchi in segno di protesta. Tirandoli su - questo è peggio dell'inferno! - anche con i cadaveri rimasti abbandonati al sole.

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