Franco Ordine
da Milano
Sfatati tutti i tabù. Tutti tranne uno. Cominciamo dal primo: sotto il diluvio universale il Milan è capace di giocare al calcio, bene, e di vincere, comodamente. Al di là dello stesso risultato, stretto nelle dimensioni e non rispondente alle occasioni in numero industriale sciupate. Onore e merito allo stadio di San Siro, capace di regalare un prato perfetto nonostante lalluvione del pomeriggio abbattutasi su Milano e i suoi dintorni. Secondo tabù: il Milan non vince e non segna solo con i due attaccanti baciati da Eupalla, Shevchenko e Kakà cioè. Se per caso lucraino si prende un pomeriggio di permesso sindacale e se il brasiliano si gode il meritato riposo in panchina, è possibile che provveda alla bisogna quel campione sceso dal piedistallo che si chiama Paolo Maldini. Gioca in condizioni impossibili: non ha più cartilagine nelle due ginocchia, deve imbottirsi di Aulin per vincere i dolori e le infiammazioni che lo costringono spesso a restare a casa, col ghiaccio a portata di mano. Solo uno come lui, esponente di una razza specialissima, può regalare in pochi giorni, tra Gelsenckirchen e San Siro, la sua striscia di performance: in Germania firmò la discesa con cross di destro per la testa di Sheva, qui a San Siro in 15 minuti di tempo chiude la sfida con la Reggina grazie a un mirabile uno-due. Nel primo caso va in gol di destro, dopo un paio di tunnel sui rivali che gli si fanno incontro, nel secondo, di testa, su angolo di Rui Costa, infligge una capocciata a centro porta che il portiere Pavarini vede come una folgore, un fulmine, una saetta. Peccato per i curvaioli rossoneri, rimasti, per protesta fuori dallo stadio durante tutto il primo tempo, si perdono il meglio: striscioni e cori segnalano il loro dissenso nei confronti del decreto Pisanu e del caro prezzi. Per il primo sbagliano, per il secondo lamento legittimo. Ci sono prezzi vergognosi in giro.
Il terzo tabù può far felice Galliani e Braida e segnalare il ritardo con cui Ancelotti accompagna al debutto stagionale in campionato Vogel, il capitano della nazionale svizzera. Gioca al posto di Pirlo con grande sicurezza ed efficacia: è lo scudo protettivo di cui ha bisogno la difesa milanista, maltrattata persino da Cavalli, a causa della insicurezza di qualche esponente, Dida tra i primi. Senza Pirlo, lo ricordate?, lanno prima il Milan attraversò momenti di grande difficoltà: Galliani, a Reggio Calabria, fu costretto a un intervento pubblico per evitare che si ripetesse lesperimento Ambrosini. Ancelotti lo scopre con qualche settimana di ritardo ma è un peccato veniale. Tutti i tabù sfatati tranne uno. La fragilità difensiva del Milan non è un luogo comune, è un segno dei tempi e una conseguenza diretta del disegno tattico. Ma cè dellaltro. Panico e insicurezza del portiere stanno minando alla base quel reparto che resiste meglio se Stam gioca a destra. Come può una difesa di quel livello tecnico subire gol, a partita ormai conclusa, in contropiede dalla Reggina, in casa? Non può, naturalmente. È segno di disattenzione e di mancanza di rigore tattico: sono difetti che si coltivano spesso nel giardino dei presuntuosi. E come si capisce al volo, non cambia granché se Cafu resta a guardare. Nel primo tempo Cavalli si mangia un gol, un altro lo segna in fuorigioco prima di finire, durante il recupero, nel tabellino dei marcatori. Forse è il caso di lavorare sodo nella sosta azzurra per smerigliare lintesa e rassicurare il portiere. Dopo sei partite, il Milan è lo stesso, nei punti fatti e nei gol segnati e subiti, di un torneo fa. Segno allora che può risalire la china. Ma deve chiudere il portone con un lucchetto. Non riesce a scaldare il cuore dei nuovi tifosi, Bobo Vieri. Tutto il Milan, nella ripresa, gioca per lui, lo lancia, gli serve assist a ripetizione, cerca il suo gol per spezzare lincantesimo.
La Reggina ha un problema: ceduto Bonazzoli, perso Bianchi, deve inventare Cavalli attaccante. Ne cerca uno in Portogallo.
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