Disinformazione, fake e furto di dati: tutti i rischi della guerra cognitiva

Numeri di telefono, date di nascita, perfino gradi di parentela sono tutte informazioni buone per la guerra cognitiva. Qui vi spieghiamo come funziona

Disinformazione, fake e furto di dati: tutti i rischi della guerra cognitiva

La nascita dell'era digitale ha spalancato le porte di una minaccia che è diventata pervasiva e di difficile – per non dire impossibile – eliminazione: la guerra cognitiva.

Per capire meglio di cosa stiamo parlando partiamo da un paio di definizioni. L'ambito cognitivo, derivante dalla cognizione, è l'azione mentale o il processo di comprensione, che comprende tutti gli aspetti della funzione intellettuale, compresi gli aspetti subconsci ed emotivi che guidano la maggior parte del processo decisionale umano. La guerra, come “esperienza” della guerra, originariamente si riferiva alle attività comuni e alle caratteristiche del conflitto armato tra stati, governi o entità. Nel panorama moderno, c’è meno chiarezza per quanto riguarda i soggetti coinvolti, poiché esistono vari gradi di coinvolgimento organizzativo, culturale e sociale che stanno diventando più comuni, così come l’estensione per procura dell’interesse nazionale.

La definizione di guerra cognitiva

Per guerra cognitiva si intendono quindi le attività condotte in sincronia con altri strumenti di potere per influenzare atteggiamenti e comportamenti umani, guidando, proteggendo e/o interrompendo le cognizioni individuali e di gruppo per ottenere un vantaggio. Queste attività variano notevolmente e possono comprendere componenti culturali o personalizzate di supporto o in conflitto: la psicologia sociale e l'etica, ad esempio, sono fattori che contribuiscono a questo particolare ambito.

Va ricordato poi che le attività della guerra moderna non comportano necessariamente una componente cinetica o risultati direttamente tangibili, come l’acquisizione di territori o risorse: come con altre minacce ibride, un avversario conduce la guerra cognitiva durante tutto il continuum del conflitto e mira a rimanere nella “zona grigia”, ovvero in quella zona di ingaggio al di sotto della soglia del conflitto armato.

Un esempio calzante di come agisce la guerra cognitiva è dato dai deep fake generati dall'intelligenza artificiale: questi oggetti mediatici possono essere strumenti eccellenti per campagne di disinformazione o finalizzati a operazioni nel campo delle “misure attive” (operazioni di intelligence per plasmare decisioni politiche).

Bisogna però ricordare che un deep fake, da solo, ha influenza limitata, pertanto deve rientrare in un più ampio spettro di “armi combinate” informative come strumenti per il micro-targeting (analisi di dati personali per identificare un pubblico bersaglio).

Le tare cognitive dell'essere umano al centro

La disinformazione (e la misinformation traducibile come cattiva informazione) sfruttano le tare cognitive dell'essere umano (i cosiddetti bias) che, volenti o nolenti, sono presenti in ogni individuo: citiamo, ad esempio, la tendenza a notare informazioni che sono già presenti nella nostra memoria, la tendenza a trovare un filo logico anche quando non esiste, l'essere proni a stereotipi di qualsiasi tipo, il ritenere di conoscere quello che pensano gli altri, ragionare secondo i propri schemi culturali e tanti altri atteggiamenti innati o derivanti dalla nostra educazione/cultura.

In buona sostanza, non esiste un individuo immune da disinformazione, soprattutto nel mondo odierno dove la diffusione capillare dei social network e di media online non definibili come vere e proprie testate giornalistiche ha permesso la circolazione di informazioni senza più il filtro dato dalle redazioni dei media ufficiali, che per etica professionale sono (sarebbero) obbligati a controllare le fonti e quindi a escludere le notizie false o tendenziose.

Il campo di battaglia principale della guerra cognitiva è quindi quel mondo intangibile dato dal web – ma non solo – ed essa si configura come un altro strumento della guerra ibrida (Hybrid Warfare) che abbraccia tutti i mezzi in grado di deteriorare e possibilmente sconfiggere un avversario: dall'economia al diritto internazionale passando per l'uso strumentale dei flussi migratori.

Senza dimenticare la messa in pratica dello sharp power, inteso come l'approccio che prevede sforzi compiuti per censurare o per manipolare l'informazione per intaccare l'integrità di istituzioni indipendenti. Pertanto i nostri dati personali – di qualsiasi tipo essi siano – sono sia obiettivo sia strumento della guerra cognitiva e recentemente un caso di cronaca ha reso evidente quanto essi facciano gola alle potenze straniere (e magari ostili).

Da Zhenhua Leaks al caso russo

Nell'autunno del 2020 è emerso un caso di furto di dati che è stato paragonato a una “Cambridge Analytica sotto steroidi”, ovvero Zhenhua Leaks. Zhenhua Data è una società cinese, fondata nel 2018 a Shenzhen, di proprietà di China Zhenhua Electronics Group, che a sua volta appartiene allo Stato tramite la China Electronic Information Industry Group (Cetc), una società di ricerca militare. Zhenhua che opera anche col nome di China Revival, ha chiamato il database incriminato Overseas Key Information Database (Okidb).

Esso contiene informazioni riguardanti 650mila associazioni e 2,4 milioni di persone che includono date di nascita, indirizzi, stato civile, fotografie, associazioni politiche, parentele e identità social. Tutti dati raccolti “spiando” account Twitter, Facebook, LinkedIn, Instagram, TikTok, oltre che notizie sui media, casellari giudiziari e registri di reati aziendali.

Ma perché quanto accaduto non è accomunabile col più noto, sebbene di grandezza inferiore, caso di Cambridge Analyitica? Perché la propaganda cinese nel corso degli ultimi anni ha sfruttato ampiamente i social network personali di personaggi politici, o comunque pubblici, al fine di ottenere il “diritto di parlare” e di “definire l’agenda” a livello internazionale. Spiegato semplicemente, Pechino vuole creare un ambiente in cui il partito plasma quello di cui si parla e come un dato problema viene percepito, col fine ultimo di modificare l’atteggiamento dell’opinione pubblica globale in modo tale che il Pcc (Partito Comunista Cinese) possa trarne beneficio.

I punti chiave della creazione di tale ambiente sono “il lavoro sulle notizie e l’opinione pubblica” e “la guida dell’opinione pubblica” in uno sforzo di lungo termine per fare in modo che il pubblico possa avere una visione “corretta” secondo i dettami del Politburo. Pertanto sono stati postulati concetti strategici per la propaganda e la disinformazione creando dei corpi statali atti allo scopo che le adattano al bersaglio in modo estremamente particolare.

La Cina ha infatti proceduto a una differenziazione del pubblico bersaglio per offrire contenuti propagandistici più idonei in modo da poter ottenere il suo fine strategico, distinguendo la sua propaganda e disinformazione secondo etnia, cultura, religione e altri fattori simili senza dimenticare il discriminante del livello di relazioni che intercorrono tra la Cina e il Paese oggetto di propaganda. Un adattamento che scende addirittura nel particolare per alcuni ambiti individuando influencer da utilizzare per andare incontro agli interessi dei singoli o gruppi di singoli (avendo come discriminante il genere, gli hobby, la professione, ecc).

Si capisce bene quindi perché i dati personali, di qualsiasi tipo essi siano, sono preziosi per entità statali che intendono lottare per imporre la propria visione del mondo. L'utilizzo di informazioni per la guerra cognitiva trova anche applicazione nella “guerra guerreggiata”, ed esempi in tal senso ci arrivano dal conflitto ucraino.

Ci sono stati casi in cui messaggi di testo con scritto “arrenditi sei circondato” sono arrivati sui telefoni cellulari di soldati ucraini al fronte, e che poco dopo alle famiglie di questi soldati, sono arrivati messaggi in cui si avvisava della morte degli stessi. A quel punto le famiglie, allarmate, hanno chiamato il proprio caro, e questo ha causato l'individuazione della posizione da parte dell'artiglieria russa che è entrata in azione quasi immediatamente.

Quanto accaduto evidenzia come i contorni tra conflitto convenzionale sul campo di battaglia e guerra cognitiva siano sempre più sfumati e come i nostri dati personali, le nostre informazioni, rappresentino una risorsa di alto valore.

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