Il dispotismo della didattica a distanza

Questa lettura che vi consiglio non è certo una lettura liberale. È un libretto edito dalla Feltrinelli nel 1968 e scritto da Agostino Viviani. Si chiama Gli studenti: ieri, oggi, domani. Giustizia e legalità.

Il dispotismo della didattica a distanza

Questa lettura che vi consiglio non è certo una lettura liberale. È un libretto edito dalla Feltrinelli nel 1968 e scritto da Agostino Viviani. Si chiama Gli studenti: ieri, oggi, domani. Giustizia e legalità. È una critica feroce e dai toni accesi all'istruzione in Italia, al suo mondo accademico, alla cultura democristiana di Antonio Segni «la cui visione miope, gli fu sempre tipica» chiosa Viviani. Ve lo consiglio perché occorre sbattere in faccia alla gran parte della sinistra di oggi le critiche che la sinistra di ieri faceva della scuola democristiana, delle università post belliche, delle baronie consolidate del dopoguerra. Occorre che i ministri dell'attuale governo che si autoproclamano di sinistra capiscano lo scempio commesso ogni giorno in più dalla didattica a distanza a danno dei più deboli. E non per bocca di uno sfrenato liberista, ma di un azionista sessantottino.

Scrive Viviano: «Il docente - autentico despota -, decide il contenuto dei corsi senza fornire al riguardo spiegazione alcuna. Inoltre la lezione si riduce ad un monotono soliloquio. Lo studente è un uditore, che può capire o non capire, essere convinto o meno, avere o non avere idee da esprimere; il professore va per la sua strada che è un binario a senso unico». E pensare che il giurista antifascista non conosceva ancora i brillanti ritrovati della tecnica e della Dad in cui il professore neanche guarda in faccia lo studente. «Questo sistema si colloca perfettamente in una società classista perché tende a schiacciare la personalità dello studente, ad abbassare la soglia del potere critico, a scoraggiare ogni atteggiamento autonomo». Poi Viviani racconta della nascita del movimento studentesco, con affermazioni che con gli anni mostrano tutta la loro fallibilità. La protesta, scrive, «talvolta violenta, è stata l'unica purtroppo capace di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica».

Ma in effetti il libretto è di un certo insegnamento. Non condividiamo con l'autore l'impostazione ideologica, tremendamente marxista. Resta il tema: l'importanza della scuola, la sua capacità di dividere per classi sociali, l'importanza che ha per il futuro di una nazione. E soprattutto la risposta che gli studenti, autonomamente, potrebbero dare. Una risposta che oggi, a differenza di ieri, non dovrebbe essere violenta. Ma nonostante ciò potrebbe essere altrettanto rumorosa. È da loro che possiamo sperare che parta quel grido di dolore che la nostra società assuefatta non riesce a emettere.

E se ai tempi di Viviani «si era troppo abituati a considerare gli universitari come giovani borghesi decisi a non amareggiare la loro gioventù con grosse questioni o capaci al massimo di qualche rumorosa manifestazione goliardica», anche oggi i progressisti non credono al dissenso che a macchia di leopardo dalle scuole alle università sta emergendo per forme di studio allucinanti.

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