"Divento una prof e insegno ai bulli che bisogna imparare dalle sconfitte"

L'attrice recita in "Hoganbiiki" di Enzo Dino. "Il titolo? Significa simpatia per il perdente"

"Divento una prof e insegno ai bulli che bisogna imparare dalle sconfitte"
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La vita è fatta di alti e bassi. «Ma quello che conta è imparare dalle sconfitte, prima ancora che dalle vittorie». Manuela Arcuri ne è più che mai convinta, dopo aver interpretato Hoganbiiki Il valore della sconfitta: film scritto e diretto da Enzo Dino, ora disponibile su Prime Video. «Hoganbiiki è un'espressione giapponese spiega l'attrice - Significa simpatia per il perdente. Esattamente il contrario di quanto predica la cultura occidentale, che empatizza solo col vincitore». L'imparerà a sue spese Stefania Trezzi (il personaggio della Arcuri): insegnante di ginnastica accusata di uno scandalo di cui è invece innocente, e per questo costretta a fare l'insegnante di sostegno in una classe di recupero affollata di ragazzi disadattati. Educatrice suo malgrado, un po' come nei ruoli sociali del cinema civile americano anni '50 e '60, precipiterà nell'inferno degli adolescenti problematici, e dovrà affrontarli. Per salvare sé stessa, assieme a loro.

Bulli, rabbiosi, pericolosi. Come farà questa professoressa ad imporsi?

«Prima perché costretta, poi sempre più appassionata, Stefania cerca di capire cosa c'è dietro l'aggressività e le prepotenze di questi ragazzi. Con pazienza, resistendo a provocazioni e insulti, cercherà di risalire alle cause - quasi sempre familiari - del loro disagio. E infine suggerirà loro una valvola di sfogo e realizzazione: formare una squadra di pallavolo, allenarsi duramente, partecipare al torneo della scuola. Un modo per distrarli, all'inizio. Per realizzare sé stessi, alla fine».

Eppure, la squadra perderà proprio la finale del torneo.

«Ma proprio qui sta il significato di Hoganbiiki. La vittoria nel torneo conta fino ad un certo punto. La vera vittoria è stato credere nel proprio io. Impegnarsi, lottare, vivere. È questo che li fa veramente crescere».

Una battuta del film recita: «I giovani devono sognare di volare alto». Da giovane quali erano i suoi sogni?

«Certo non quello di fare l'attrice. Non avevo esempi del genere in famiglia: non ci pensavo affatto. Io però sono fatalista: se le cose accadono vuol dire che devono accadere. E infatti questo mestiere io non l'ho cercato: m'è arrivato. E ho cavalcato subito l'onda. Poi però l'ho preso molto seriamente: mi sono scarificata, ho studiato tanto. Oggi quello che ho credo di meritarmelo».

Quand'è che Manuela ha cominciato sul serio a credere in Manuela?

«I miei inizi erano stati molto fortunati: in pochi anni avevo avuto piccoli ruoli accanto a grandi come Verdone, De Sica, Panariello, Salemme... Tutti loro mi hanno aiutata. Ma è stato con Carabinieri che sono diventata protagonista: lì la responsabilità era tutta mia, non avevo nessuno accanto che mi sostenesse. Eppure ce l'ho fatta. Per la prima volta mi sono detta: Manuela, sei un'attrice. Finché sono arrivati i primi apprezzamenti. Due, in particolare, non li scorderò mai. Quando nel 2007 Prince in persona mi scelse per il video del suo Somewhere Here on Earth. Ispirare un artista simile! E poi quando sul set Virna Lisi mi disse: Manuela: tu parli con gli occhi. Hai uno sguardo che esprime esattamente quello che hai nel cuore».

Avrà avuto le sue delusioni. È riuscita a riconoscere il valore della sconfitta?

«Sconfitte? Tantissime. La più grossa la subii quando, appena maggiorenne, Massimo Troisi mi provinò per un ruolo ne Il Postino. Ero quasi arrivata ad ottenerlo. Ma proprio all'ultimo, invece di me, Troisi scelse la Cucinotta. La presi malissimo. Solo col tempo ho capito che è proprio grazie a delusioni come questa ho fortificato il mio carattere. Come dico nel film: S'impara a vincere solo quando s'impara a perdere».

I prossimi obiettivi?

«In autunno girerò il mio primo film horror: Beautiful girls, una coproduzione italo-spagnola. Poi una serie in quattro puntate per la Rai cui tengo molto, pronta per la primavera 2024. Titolo provvisorio La donna della seconda repubblica. È la storia vera della compagna di un uomo politico. Ancora non posso dirne il nome; intanto l'ho conosciuta, e conto molto su questo rapporto perché, come sperimentai facendo Pupetta Maresca, interpretare persone esistenti è un'esperienza appassionante ma anche problematica.

Poi mi piacerebbe realizzare un mio vecchio sogno: tornare a teatro per misurarmi in un musical. Recito da tanto, canto benino, ballo meglio... Mettermi alla prova nella forma di spettacolo più completa che ci sia: questo mi entusiasmerebbe».

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