E il Professore adesso vuole riarmare la Cina

Romano Prodi, nei giorni scorsi, si è detto favorevole all’abolizione dell’embargo sulle esportazioni di armi verso la Cina, misura che fu decisa dall’Unione Europea dopo i fatti di Tienanmen. Nel 1989, ricordiamolo, morirono centinaia di civili uccisi a fucilate o schiacciati dai carrarmati, e a costoro vanno aggiunti tremila morti e centinaia di arrestati. Ma la Cina di oggi, ha detto Prodi, non è più quella di Tienanmen. Le autorità cinesi, a dir il vero, ancor oggi definiscono quegli eccidi come «sommosse controrivoluzionarie». Ci sono circa duecento persone che a distanza di diciassette anni sono ancora incarcerate per quei fatti, e molti familiari delle vittime subiscono pressioni o vengono periodicamente arrestati, tanto che per spostarsi o lasciare la città debbono ottenere dei permessi speciali. Fan Zheng, nel 1989 studente di fisiologia dello sport, fu amputato di ambedue le gambe sotto un carrarmato, e gli agenti della sicurezza pubblica lo interrogano regolarmente ancor oggi. Ogni 4 giugno, giorno in cui le famiglie di Tienanmen piangono i loro morti, militari e poliziotti in borghese sorvegliano attentamente le loro case affinché stiano in silenzio.

Malgrado gli interventi della comunità internazionale, le autorità cinesi non hanno mai preso in considerazione nessun appello alla giustizia e hanno sempre bloccato ogni fondo umanitario proveniente dall'estero. La parola Tienanmen è inibita dai sistemi di ricerca dei computer cinesi. Ma la Cina di oggi, ha detto Prodi, non è più quella di Tienanmen.

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