E si scoprono gli abusi negli istituti dei comunisti

Berlino «Appena arrivato fui privato di tutti i miei oggetti personali, rasato a zero, completamente spogliato e messo sotto una doccia fredda per quasi un quarto d’ora, poi fui rinchiuso in una cella di isolamento umida e buia e solo dopo una settimana fui associato agli altri internati. Fu l’inizio di un calvario durato tre anni».
Sembra di ascoltare il racconto di un deportato che ricorda il suo arrivo in un lager nazista, in un gulag sovietico o a Guantanamo. E invece no: a raccontare è un uomo oggi sulla cinquantina, Ralf Weber, che ricorda quando a 13 anni arrivò nello Spezialkinderheim di Hohenleuben, uno dei tanti istituti dove ai tempi della Ddr venivano inviati i minorenni che, secondo le autorità scolastiche della Germania comunista, erano bisognosi di rieducazione. E quasi sempre ad aver bisogno di rieducazione erano ragazzi e ragazze sottratti a genitori politicamente sospetti, considerati ostili al regime oppure, come nel caso di Ralf Weber, colpevoli di aver tentato di scappare nella Germania Occidentale. Di questi istituti nella Ddr ce n’erano una settantina e sono esistiti fino all’89, anno del crollo del Muro di Berlino. Ma solo adesso, a oltre vent’anni di distanza, sta venendo alla luce come era la vita in questi luoghi infernali dove abusi e torture non venivano neppure nascosti perché il sistema stesso legittimava il sadismo di superiori e insegnanti.
Per anni gli ex-internati hanno taciuto. Ai tempi della Ddr perché non potevano parlare e dopo perché tra la gente della Germania Orientale l’essere stato in un Spezialkinderheim (istituto per bambini difficili) era considerato una macchia che era meglio non esibire. Ma adesso il clima è cambiato. Incoraggiati dall’ondata di rivelazioni di chi da ragazzo ha subito violenze e abusi negli istituti religiosi (non solo cattolici ma anche evangelici), anche chi è stato nei Spezialkinderheim della Ddr ha ora deciso di ricordare ad alta voce. E i loro racconti fanno venire i brividi.
Jens B. in un’intervista all’edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine Zeitung racconta che non solo era obbligato a praticare quasi quotidianamente il sesso orale con gli insegnanti ma a volte doveva farlo anche in presenza dei suoi compagni e se si ribellava veniva picchiato. «Io gridavo per le botte ma era inutile perché le grida erano il sottofondo sonoro continuo dell’istituto». Ralf Weber ricorda che dopo la sveglia alle 5,30 del mattino gli internati erano obbligati a pulire il dormitorio e i sanitari e a volte i sorveglianti si divertivano ad obbligarli a fare le pulizie solo con le mani. «Chi non lo faceva come volevano loro doveva stare sull’attenti dieci ore e guai se crollava prima».
Heidemarie Puls, anche lei sulla cinquantina, è stata nello Spezialkinderheim di Torgau, in Sassonia, per lo stesso motivo di Ralf Weber. Aveva 14 anni ma dimostrava più della sua età ed era carina. Il direttore dell’istituto la obbligava a prostituirsi con lui e quando si ribellava, racconta, veniva rinchiusa in cella di isolamento per giorni e giorni.

Oggi vive a Krakow am See, nel Mecklenburgo, in un appartamento con le finestre sempre aperte anche d’inverno. «Soffro di claustrofobia, se vedo una finestra chiusa a casa mia mi ricordo di quando ero prigioniera nella cella dell’istituto e mi sento male».

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