Questa recensione la dobbiamo ad Antonio Martino. Non si tratta di un suo libro, ma della lucidità del più grande liberale italiano. L'antefatto è una nostra telefonata riguardo alla puntata di Matrix che stavo per andare a condurre la settimana scorsa. «Parlerò del caso Satta?» ho sussurrato vergognandomi all'allievo di Friedman, inteso come Milton e non Alan. Certo che il «prof» non sapesse minimamente chi fosse. «Si tratta di un tipico caso di invidia» mi ha aggiunto, sbalordendomi Martino. Sì, era a conoscenza della ridicola polemica che è seguita all'esibizione della sue foto (di Melissa Satta) mentre si faceva trasportare da un aereo privato. Ma ritorniamo alla nostra conversazione. «Beh avrai letto L'invidia e la società di Helmut Schoeck; lì c'è tutto, anche la Satta», mi ha aggiunto. In effetti mi sono messo di impegno. Sono quasi 400 pagine ripubblicate dai nostri eroici Liberilibri. In realtà a scoprirlo e giustamente a rivendicarlo fu Quirino Principe, per la Rusconi degli anni Settanta, quella che non aveva paura degli irregolari.
Martino in trenta secondi recensisce meglio di chiunque l'austriaco, di scuola tedesca. «Guarda che Schoeck spiega perfettamente come mai l'uomo tenda a essere invidioso nei confronti di chi gli è più vicino e non, ad esempio, di Bill Gates o Jeff Bezos, gli uomini più ricchi del mondo. Ed è del tutto falso che eliminando le disuguaglianze si eliminino le invidie». Fantastico. Il libro, con la sua bella copertina verde, è questo, ma è molto di più. D'altronde chi mai ha trattato il tema in modo così specifico? Nessuno. Come nessuno si dichiara pubblicamente invidioso, se non (e solo nella nostra lingua, nota l'autore) chi si dichiara pubblicamente «invidioso» del successo altrui, per sottolineare al contrario la propria sufficienza per il risultato raggiunto.
Il libro, credetemi, è un manuale unico. Attraverso i proverbi, cioè i fossili della nostra civiltà psicologica, capiamo l'invidia meglio che attraverso qualsiasi dizionario. L'invidia è un fenomeno, come dice Martino, legato alla prossimità sociale, e non trova «il suo terreno di crescita nelle differenza assolute, bensì nelle percezioni soggettive». L'invidia fa parte del dna dell'uomo è una «componente istintiva molto primitiva». Regola fondamentale, molto cipolliana, «l'invidioso è dispostissimo a farsi del male se da questo colui che egli invidia può avere danno. Tutti i proverbi sono infatti precisi nel sottolineare di come l'invidioso fa del male soprattutto a sé stesso».
L'invidia non ha mai arricchito nessuno.Insomma il ladro è molto meno invidioso dell'incendiario. Il libro ha molto di più e vale la pena leggerselo tutto, come consiglia Antonio Martino. C'è da fidarsi. Ma che invidia, ne sa sempre una più di noi.
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