Tra le tante cose false che Gheddafi racconta nei suoi discorsi, ce n’è una sicuramente vera: le televisioni straniere, e in particolare l’emittente satellitare panaraba Al Jazeera, svolgono un ruolo fondamentale nella rivolta libica, diffondendo notizie che alimentano la rabbia degli insorti e influenzano anche le decisioni politiche degli altri governi. Dal momento che la TV del Qatar ha avuto una parte analoga anche in Tunisia e soprattutto in Egitto, viene da chiedersi se i suoi giornalisti hanno semplicemente esagerato nella loro ricerca dello scoop, o se avevano davvero l’intenzione di soffiare sul fuoco. E in questo secondo caso perché, visto che il loro datore di lavoro, l’emiro Hamad bin Khalifa, sovrano assoluto di uno dei Paesi produttori di petrolio del Golfo, potrebbe essere a sua volta investito dai venti rivoluzionari?
Al Jazeera rappresenta una delle novità più importanti del mondo dei media, fornendo per la prima volta informazioni e servizi non censurati ai 300 milioni di arabi sparsi tra Atlantico e Oceano indiano. Da quando ha l’edizione inglese è diventata una fonte rilevante di notizie anche per noi occidentali, soprattutto da Africa ed Asia. Grazie ai petrodollari dell’emiro, dispone oggi della più vasta rete di corrispondenti, più della CNN o della BBC. Aveva già dato spesso fastidio ai regimi autocratici e in particolar modo alla monarchia saudita, ma mai era stata protagonista degli eventi come dall’inizio della rivolta araba. Le sue «dirette» dal Boulevard Burghiba a Tunisi e da piazza Tahir al Cairo, accompagnate da un flusso ininterrotto di flash e interviste di sostegno, hanno fornito a tunisini ed egiziani informazioni in tempo reale sull’andamento della rivolta, alimentandola e incoraggiandola.
In Libia, che è stata per molti giorni terreno proibito per i media occidentali, Al Jazeera si è superata, ma è anche incorsa in un numero impressionante di «infortuni»: ha dato credito alla voce di una fuga di Gheddafi in Venezuela, ha attribuito a un inesistente membro libico della Corte penale internazionale la valutazione (subito ripresa da tutti) di diecimila morti e cinquantamila feriti, ha scambiato i loculi di un normale cimitero per fosse comuni, ha riferito della conquista da parte dei ribelli della base aerea di Mitiga tuttora saldamente nelle mani di Gheddafi e si è - secondo molti testimoni - inventata quel bombardamento della folla da parte di Mig ed elicotteri che è all’origine della decisione occidentale di chiedere le dimissioni del colonnello e appoggiare i rivoltosi. Anche se successivamente smentite, queste notizie hanno infiammato i cittadini e incoraggiato le defezioni di molti militari e funzionari.
Dal momento che è improbabile che l’emiro abbia perso il controllo della sua creatura, o non si renda conto degli effetti che produce, il mondo si chiede che cosa ci sia dietro. Finora egli non è stato contestato dal suo milione di sudditi, e in una classifica compilata da Merrill Lynch il Qatar è stato definito il più stabile dei quindici Paesi arabi. Dal 2004 ha una Costituzione e un Consiglio elettivo, è al 40° posto nell’indice di sviluppo umano e le risorse di petrolio e di metano gli garantiscono un elevato reddito pro-capite. C'è tuttavia un particolare inquietante: di tutte le monarchie del Golfo, è quella considerata più vicina all’Iran.
Al momento nessuno, neppure i servizi americani, riescono a capire quali siano le reali intenzioni di Hamad bin Khalifa. Ma, applicando il proverbio «Non c’è fumo senza arrosto», si conclude che qualche idea un po’ eterodossa ce la deve avere.
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