Quello dei ritardi di pagamento è un vizietto che viene da lontano. Non bisogna pensare che sia solo lo Stato quel Leviatano che porta sul lastrico miriadi di piccole imprese. Anche le grandi imprese monopolistiche sono artefici a loro volta dell’indebitamento delle piccole aziende, perché impongono tempi di pagamento spesso insopportabili.
Nel caso in cui è lo Stato, invece, debitore nei confronti delle imprese, il gioco è viziato non solo da una perversa convenienza reciproca (il «patto implicito» per cui io Stato ti pago più tardi e io impresa ti fatturo di più), ma anche da una perversione strutturale tutta italiana per la quale i debiti contratti non possono essere esplicitamente contabilizzati, pena l’emergere di un maggior debito pubblico. In altre parole? Cassa apparentemente in ordine e competenze gonfiate. Infatti i debiti contratti, allorché esigibili, entrano nella competenza dello Stato, ma poiché ai fini della contabilità del debito pubblico quello che conta è la cassa, questi debiti è come se non esistessero. Così facendo lo Stato espone una situazione del debito più rosea di quella che in realtà è. Un’ipocrisia che però non sfugge ai mercati che conoscono perfettamente il trucco. Un gioco di prestigio che non ha spettatori divertiti, ma solo piccole imprese strangolate.
Un intervento tempestivo è cosa prioritaria. Sulla scia di quanto fatto dal governo Berlusconi (articolo 13 della Legge di stabilità che prevede l’obbligo di certificazione dei debiti da parte dell’ente locale per consentire alle aziende di poter scontare il debito in banca con maggiore facilità) e dall’Unione europea (Direttiva comunitaria 2001/7/UE che obbliga tutti, Stato e imprese, a pagamenti puntuali), il governo Monti è già intervenuto, ma si deve fare di più. I 5,7 miliardi di euro previsti dall’articolo 35 del Decreto Liberalizzazioni non sono sufficienti, anche se il voto favorevole della Camera di giovedì 2 febbraio all’emendamento all’articolo 14 della Legge comunitaria, che delega il governo ad adottare entro sei mesi uno o più decreti legislativi volti a recepire la direttiva comunitaria prima del 2013, rappresenta un passaggio fondamentale.
Ma come fare, quindi, a far sì che la trasparenza dello Stato non intacchi ulteriormente il debito pubblico? Una risposta ci viene offerta dal modello tedesco. La loro Cassa Depositi e Prestiti ( Kreditanstalt fuer Wiederaufbau), nata insieme al Piano Marshall per la ricostruzione delle economie europee, è uno dei meccanismi più efficienti della loro economia. La Germania non include nel suo debito pubblico le passività del KfW, posseduto all’ 80% dallo Stato e per il restante 20% dai Laender: grazie alla partecipazione statale questa banca, secondo Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, gode dello stesso rating (tripla A) riconosciuto alla Repubblica federale tedesca. Ma qual è l’escamotage? Il Trattato di Maastricht prevede che anche le passività di tali enti vengano inserite nel conto del debito pubblico di ogni Stato, e se così fosse il debito pubblico tedesco salirebbe di 17 punti percentuali. La domanda sorge spontanea: come si nasconde il 17% del debito? La risposta è una: Esa95 ( European System of National and Regional Accounts ), con il quale l’Eurostat ha definito i criteri statistici di valutazione legalmente vincolanti per l’Unione europea. Tale atto, che integra i criteri di Maastricht, permette di escludere dalla contabilità del debito le passività di quegli enti che si finanziano con pubbliche garanzie, ma che coprono il 50,1% dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi.
Delle due l’una: affinché la contabilità del debito pubblico segua parametri omogenei a livello comunitario, la Germania potrebbe ricalcolare il suo debito seguendo i parametri standard previsti da Maastricht, oppure l’Italia,imitando il modello tedesco, deconsolidare dal suo debito pubblico i finanziamenti agli enti locali della Cdp e il credito delle Pmi verso la Pubblica amministrazione.
In fondo non appare così difficile. Basta solo efficienza, più e meglio di quanto non si sia fatto finora. Trasparenza, buonsenso, e un pizzico di tecnicalità alla tedesca potrebbe risolvere una volta per tutte il problema.
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