De Benedetti bacchetta i figli E il caso Gedi gli dà ragione

In Borsa il gruppo editoriale ha fatto (molto) peggio dei concorrenti. Ora l'Ingegnere lancia la fondazione

De Benedetti bacchetta i figli  E il caso Gedi gli dà ragione

Nessuna tregua. Carlo De Benedetti ha proseguito la polemica contro i figli dai quali rivorrebbe il controllo di Gedi, il gruppo editoriale a cui fanno capo Repubblica, Stampa e Secolo XIX, per donarlo, successivamente, a una fondazione. E, smacco ancor più grande, l'esternazione arriva a mezzo Corriere, il rivale del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Intanto, in Borsa Gedi si è presa una pausa di riflessione dopo il rally di lunedì e ha chiuso la seduta a 0,289 euro, in calo dell'1,1%, seppure al di sopra degli 0,25 euro per azione offerti dall'Ingegnere ai figli per il 29,9% del gruppo.

De Benedetti ieri è tornato ad accusare i propri eredi di «non avere la competenza e soprattutto la passione» per «fare gli editori» anche perché considererebbero, a torto, l'editoria solo «un business declinante» per cui cercare un compratore. Una ricerca quest'ultima ritenuta dall'imprenditore dall'Ingegnere «inutile» e «ingenua» perché «in Italia un compratore non c'è», quanto meno non un editore.

C'è da dire che a inizio 2009, l'anno in cui De Benedetti decise di lasciare le deleghe operative, il titolo del gruppo Espresso (da cui è nata Gedi dopo la fusione con la Itedi degli Agnelli) viaggiava intorno agli 1,16 euro, per poi scendere a 1,09 euro a inizio 2012, l'anno della donazione. Nel corso del tempo il valore dell'editore si è polverizzato tanto da rendere impietoso il confronto con i rivali. In meno di cinque anni (o meglio dall'ultima seduta del 2014 ad oggi) il gruppo Espresso è passato da una capitalizzazione di 393 milioni a una di 149 milioni perdendo il 69% circa del proprio valore. Nello stesso periodo Mondadori ha più che raddoppiato la propria capitalizzazione passando a 229 a 481 milioni, mentre Rcs ha guadagnato il 4,8 per cento. Su questa base l'Ingegnere ha chiesto ai figli di cedere il comando non come «un atto di generosità ma di responsabilità» perché, se non amano il giornale, «smettano di distruggerlo».

Quanto al futuro l'Ingegnere ha confidato di voler risanare l'azienda riprendendo a «investire pesantemente» sul il digitale. Una volta riportato l'editore ai fasti di un tempo, De Benedetti intende «portare le azioni in una fondazione, convincendo gli altri azionisti a fare altrettanto». L'istituzione immaginata dall'imprenditore dovrebbe aprire le porte a «rappresentanti dei giornalisti, dirigenti del gruppo, personalità della cultura» con l'obiettivo di «assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana». Per l'Italia sarebbe una novità visto che la maggioranza delle testate nazionali sono proprietà di famiglie di imprenditori (De Benedetti appunto, Berlusconi, Cairo, Caltagirone e Angelucci). All'estero, invece, il conferimento del controllo a un ente terzo è una formula consolidata, nonostante non manchino imprenditori-editori come il tycoon di Amazon, Jeff Bezos, che sei anni fa rilevò il Washington Post. Tra le testate controllate da fondazioni si annoverano il gruppo inglese Guardian Media Groups (che tra l'altro pubblica The Guardian e The Observer) controllato da Scott Trust Limited che garantisce alla stampa una politica di non interferenza.

Ma forse il modello agognato da De Benedetti è più vicino a quello di Carlsberg, il birrificio danese sin dal 1887 è stato controllato e gestito dalla fondazione omonima che da 130 anni ha aperto le proprie porte al mondo della ricerca, della scienza e della cultura.

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