Il futuro di Ferrarini e dei suoi 300 dipendenti è sempre più in bilico. La storica azienda italiana che produce salumi potrebbe essere a un passo dal fallimento.
La società dopo il tracollo dei conti tra il 2016 e il 2017, a luglio 2018 è arrivata a un patrimonio netto negativo per 123 milioni. Il maxi-debito, di circa 360 milioni ha portato poi il gruppo in regime di concordato preventivo, situazione in cui è ormai da quasi quattro anni.
La fila dei creditori (di rango) è lunga. E da anni, la società è di fatto oggetto di una contesa tra due cordate, il gruppo Pini-Amco (ex sga controllata al 100% dal Mef) e un secondo cavaliere bianco, sostenuto da Intesa Sanpaolo e Unicredit, composto da Bonterre Grandi Salumifici Italiani, Opas (la più grande organizzazione di prodotto tra allevatori di suini in Italia) e Hp.
A valere in questo momento sull'azienda è il piano di concordato Pini-Amco che due anni fa ha presentato un piano di rilancio (recentemente aggiornato). Ora però questa proposta concordataria rischia di essere revocata e mandare all'asta la società nell'ambito di una procedura di amministrazione straordinaria in parte guidata dal Mise.
Per questo il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti che si è ritrovato per le mani il dossier ereditato da Stefano Patuanelli (M5s), è stato di recente chiamato in causa dai sindacati che chiedono la riapertura del tavolo di crisi.
La proposta concordataria Pini/Amco (sostenuta dalla famiglia Ferrarini) per l'acquisizione di Ferrarini Spa ha infatti come elemento fondamentale la continuità produttiva nello stabilimento di villa Rivaltella, principale centro produttivo del gruppo, con circa 230 dipendenti. Lo stabilimento, però, il 14 dicembre andrà all'asta per 4,78 milioni.
Contro l'asta, conseguenza del pignoramento da parte di Unicredit (per uno dei tanti crediti vantati), erano stati presentati 3 diversi ricorsi (da parte della vedova di Lauro Ferrarini ancora proprietaria - da parte del gruppo Pini e da parte della Banca del Mezzogiorno), tutti respinti. E ora il dado è tratto.
Ma perché la messa all'asta dello stabilimento mette in pericolo il concordato? In mancanza di continuità industriale (senza lo stabilimento parte integrante della proposta) la proposta non può essere accettata e può essere revocata da un momento all'altro (ex articolo 173 della legge fallimentare) con relativo passaggio in amministrazione controllata. Come se non bastasse, le sentenze hanno definito lo stabilimento inidoneo a ospitare la produzione in quanto mancherebbero le certificazioni di agibilità e i nulla osta necessari.
Il commissario giudiziale sarà obbligato a portare all'attenzione del Tribunale di Reggio Emilia questa mancata continuità aziendale e i giudici non potranno che revocare il concordato. Un passaggio che porterà il dossier al Tribunale di Bologna, che è competente sull'amministrazione straordinaria. A quel punto, le due cordate Pini/Amco e Intesa/Unicredit/Bonterre/Opas andrebbero all'asta per l'acquisto di Ferrarini Spa gestita dai commissari nominati dal Mise.
In ballo ci sono diversi crediti. Il debito di Ferrarini con Amco, guidata da Marina Natale, ammonta a oltre 90 milioni di euro, come emerso dalla relazione annuale della Corte dei Conti. E alle banche spettano invece circa 50 milioni.
Sullo sfondo resta poi un rischio delocalizzazione, nel concordato al momento è infatti indicato che resta l'impegno a realizzare un nuovo impianto produttivo in
sostituzione di quello di Rivaltella, «se possibile nel comune di Reggio». Una sottolineatura che lascia intendere la possibilità di delocalizzare la produzione dei cotti in Spagna dove i Pini hanno le principali sedi produttive.
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