Tagliare le tasse, prima di tutto la più odiata, quella sulla prima casa, senza aumentare il debito. È questa l'ardua scommessa che il governo si trova davanti in vista della prossima legge di stabilità che, dopo l'annuncio di Matteo Renzi di voler mettere a segno la più grande rivoluzione fiscale della storia repubblicana, si avvia già verso i 24 miliardi di euro. Abbiamo provato a fare i conti in tasca alle promesse impossibili del premier. Promesse che, a meno di un miracolo, rimarranno tali.
Le tasse sull’abitazione principale, la famigerata Tasi a cui nel caso di immobili di lusso si somma anche l’Imu, valgono da sole circa 3,5 miliardi di euro, che finiscono nelle casse dei Comuni, già in allerta per il possibile crollo del gettito. Ma considerando anche gli atri target della tagliola renziana, l’Imu agricola e quella sui cosiddetti imbullonati (leit motiv delle rivendicazioni di Confindustria), il mancato gettito a cui far fronte lievita oltre i 4 miliardi. Cifra tutt’altro che indifferente visti gli sforzi di bilancio degli ultimi anni, la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni che ha fatto evaporare in un colpo solo il tesoretto accumulato nel 2015, e l’impossibilità di coprire, dal primo luglio, il ben inferiore buco da 728 milioni causato dalla bocciatura europea della reverse charge.
Le maglie sono strette, anche perchè nel 2016 il governo parte già con la zavorra di oltre 16 miliardi delle clausole di salvaguardia su Iva e accise. L’intenzione di Renzi e ministero dell’Economia è sempre stata quella di non farle scattare e di non aumentare in nessun modo la pressione fiscale. Ma dall'assemblea del Pd è arrivato lo scatto in più, quello cioè di intervenire da qui al 2018 con una manovra a 360 gradi da 45 miliardi, partendo dalla casa l’anno prossimo e passando a Ires e Irap nel 2017 e arrivando a scaglioni Irpef e pensioni a fine legislatura. Un programma che con ogni probabilità, già solo dal primo step, potrebbe portare, secondo molti osservatori, ad una ripresa dei consumi e ad una rinnovata attitudine alla spesa. Guardando per ora solo al 2016, tra clausole e abolizione di Imu e Tasi il conto è già di 20 miliardi, cui si aggiungeranno probabilmente circa 2 miliardi per la flessibilità in uscita sulle pensioni, 1 miliardo (al netto del rientro delle tasse) per il rinnovo dei contratti pubblici, reso praticamente obbligatorio dalla Consulta, 700 milioni per la non risolta partita della reverse charge e 500 milioni per la rivalutazione delle pensioni imposta anch’essa dalla Corte costituzionale.
Per ora le uniche coperture economiche già identificate sono i 10 miliardi in arrivo dalla spending review (di cui 2,4 di tagli alle detrazioni fiscali). Il governo potrà contare sulla sostanziale stabilità dei tassi di interesse, dimostrata anche nei momenti più acuti della crisi greca, sulla ripresa del pil che "si sta rafforzando", come ribadito con forza da Pier Carlo Padoan, ma non è escluso che possa far ancora ricorso alla "clausola sulle riforme" a cui l’Italia si è già appellata in Europa con la scorsa legge di stabilità. Renzi è stato chiaro: "Se faremo le riforme, e il se è il punto chiave del sistema, il Pd potrà tagliare le tasse". La voce circolata in questi giorni è infatti che Roma possa chiedere un ulteriore sconto sulle ferree regole sul rientro del deficit strutturale proprio dimostrando di aver portato a termine altre riforme, in primis quelle costituzionali.
Il bonus consentirebbe al nostro Paese di avere maggiori margini, rispettando i parametri di Maastricht sul deficit al 3% e sulla diminuzione del debito, come assicurato ancora da Renzi, ma, ha puntualizzato lo stesso premier, "mantenendo una curva discendente del debito un po' meno intensa" rispetto alle prescrizioni del fiscal compact.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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