
Stiamo vivendo una stagione effervescente di annunci in materia di scalate e potenziali fusioni bancarie. Per definizione la strategia delle fusioni dovrebbe permettere di recitare un ruolo sempre più autorevole in forza di una maggiore dimensione. Detto che tali processi non abbiano a trascurare la filiera produttiva delle Pmi (il rischio c'è), in questi giorni mi sono imbattuto in osservazioni che invitano le Pmi stesse ad avviare percorsi di fusione. In caso contrario, il rischio sarebbe scivolare verso l'inesorabile declino. Non concordo. Perché nel settore produttivo principe dell'economia italiana ciò avrebbe l'effetto di snaturarne il profilo. Si verrebbe, in questo modo, a mettere in discussione il vero pilastro della nostra economia. Un conto è che le Pmi debbano ripensarsi anche attraverso passaggi coraggiosi che riguardano formazione e competenze del personale, investimenti in innovazione tecno, spinta verso una mentalità più manageriale; altro conto è che tali step si possano affrontare per lo più con le fusioni. La piccola impresa ha una sua vocazione familiare e una flessibilità che da sempre la rendono protagonista. Non dimentichiamolo mai: il famoso miracolo italiano deriva dalla presenza entusiasta e determinante delle Pmi.
Cedere alla tentazione di una fusione sull'onda di «grande è meglio», avrebbe il significato di cancellare il tradizionale patrimonio della piccola imprenditoria; e cioè che nell'economia reale la persona è il fondamento di tutto.www.pompeolocatelli.it
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