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L'oro brilla a 2mila carati tra le ombre della crisi

Il metallo giallo sale a quota 1.985 dollari. Occhi puntati su banche centrali e T-bond

L'oro brilla a 2mila carati tra le ombre della crisi
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La Bank of America ha calcolato che fra l'8 e il 15 novembre sono affluiti 23,4 miliardi di dollari nei fondi azionari, il secondo maggior «score» da inizio anno. È una massa di denaro che alimenta le attese per il rally di fine anno. Eppure, le quotazioni dell'oro continuano a flirtare con la soglia psicologica dei duemila dollari (+1% ieri, a quota 1.985), costituendo un elemento divergente rispetto alla narrazione secondo cui Wall Street e le sue consorelle sono «solid as a rock».

Il metallo giallo è infatti la coperta di Linus rassicurante contro le tensioni geopolitiche e l'instabilità economica. Certo le prime non mancano (guerra Ucraina-Russia, conflitto fra Israele e Palestina), dell'altra qualche traccia comincia ad affiorare non solo nell'eurozona, a rischio di finire in recessione tecnica, ma anche negli Stati Uniti. Le richieste complessive per i sussidi di disoccupazione sono ai massimi da fine 2021 (1,865 milioni di americani interessati), mentre Walmart, che più di tutti ha il polso dei consumi privati, ha messo in guardia contro il rischio di deflazione. La stessa BofA è sul chi vive per alcuni segnali macroeconomici contrari, compreso il calo petrolio: -20% da settembre. Ergo, gli investitori dovrebbero scaricare gli asset rischiosi e considerare che uno scivolamento dei rendimenti dei T-bond al 3% verrebbe percepito come recessivo. Senza contare la lentezza con cui le banche centrali impugneranno la scure per tagliare i tassi. In base alle attese, la Fed non si muoverà prima di giugno, mentre la Bce potrebbe cambiar registro in aprile. Ieri il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, ha detto di considerare «altamente improbabile «un calo del costo del denaro in tempi brevi.

Occhio quindi al nlinmgotto.

Tre le condizioni, secondo il World Gold Council, per un'impennata dei prezzi: il peggioramento del rischio geopolitico; un dollaro ormai al picco; oppure un mercato azionario ribassista combinato con il rilancio dei rischi di nuove fasi recessive.

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