Muro contro muro all'Ilva. Urso: non sarà statalizzata

Il ministro: "Il governo è pronto ad anticipare l'aumento, ma i soci privati facciano la loro parte"

Muro contro muro all'Ilva. Urso: non sarà statalizzata

Assemblea aperta e trattativa a oltranza. Sull'ex Ilva è di nuovo muro contro muro in cerca di una difficile intesa. L'oggetto del contendere sarebbe fondamentalmente la ricapitalizzazione del gruppo da parte dei soci: quello pubblico Invitalia (con il 40%) e quello privato Arcelor Mittal (al 60%). Per la seconda volta l'assemblea, che doveva ridisegnare la governance all'interno di Acciaierie d'Italia, è stata riaggiornata. La data ufficiale non c'è ancora, ma si parla della prossima settimana.

Nel mezzo, il governo detta la linea e ieri il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha detto che l'esecutivo «non vuole la statalizzazione dell'ex Ilva».

Un passo indietro rispetto alle prime dichiarazioni? Non del tutto. In un'audizione in Parlamento Urso ha spiegato che «è in corso un confronto attivo con l'azionista privato. Lo Stato - ha detto - oggi è entrato nel capitale col 38% dovrebbe salire al 60% nel maggio del 2024. Un statalizzazione già decisa e programmata nel tempo. Ma noi non siamo d'accordo. Il nostro obiettivo - ha aggiunto - è confrontarci con le parti per giungere a una ricapitalizzazione dell'impresa, per avere le ulteriori risorse necessarie alla riconversione industriale». In soldoni, Urso non ha detto che lo Stato non prenderà le redini del gruppo, ma che non lo farà senza condizioni. Quel miliardo stanziato per l'ex Ilva non può essere concesso, come vorrebbe Arcelor Mittal, senza un netto cambio di governance che non è però quello disegnato dal precedente governo (solo al 2024 lo Stato salirebbe al 60%). «Siamo disposti ad anticipare la ricapitalizzazione per assicurare un futuro all'azienda e mettere subito la liquidità (circa 1 miliardo di euro ndr), ma i privati devono fare la loro parte» ha poi precisato Urso.

La situazione, insomma, è fluida e, secondo fonti vicine alla vicenda, non si possono escludere colpi di scena: «Se non si trovasse un accordo la soluzione parrebbe quella di sciogliere Acciaierie d'Italia», spiega una fonte. Ieri si è espresso sul tema anche il numero uno di Confindustria Carlo Bonomi: «Spero che non si arrivi a una nazionalizzazione dell'Ilva se non già in presenza di un piano per il futuro. Ci vorrebbero dei partner industriali che possano operare al meglio, anche dal punto di vista giudiziario. L'acciaio e il ciclo a caldo è importante per il Paese o no? Io credo che il Paese non si sia dato ancora una risposta che invece è fondamentale: se noi perdiamo una delle più grandi acciaierie d'Europa, importante per tante nostre filiere, credo che faremmo un errore», ha proseguito il numero no degli industriali.

Quanto al coinvolgimento di altri attori nella trattativa al momento è stata smentita da più parti e anche il possibile intervento di Arvedi, a oggi, non è sul tavolo. Questo non significa però che nei piani del governo non ci possa essere un allargamento della platea dei privati in una seconda fase.

A monte della decisione del governo Draghi di prendere il controllo di un'azienda strategica, ci sono stati anche i difficili rapporti con il partner privato, il big indo-britannico Arcelor Mittal.

Intanto l'Osservatorio Ilva convocato dal ministero dell'Ambiente ha fatto il punto sullo stato delle attività: dei 467 milioni del patrimonio destinato alle bonifiche dell'area ex Ilva, 443 milioni sono già stati allocati.

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