Pensioni, poche risorse per la riforma

I nuovi ammortizzatori dreneranno fondi alle uscite anticipate

Pensioni, poche risorse per la riforma

L'attenzione quasi obbligata allo stop dei licenziamenti nei settori in difficoltà e alla riforma degli ammortizzatori sociali ha fatto passare in secondo piano il capitolo pensioni. Anche su questo tema il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, come il titolare del Tesoro, Daniele Franco, stanno tenendo un basso profilo.

«A dicembre scade la terza annualità di sperimentazione di quota 100. Non accettiamo che dal primo gennaio 2022 davanti alle lavoratrici e ai lavoratori si prospetti l'allungamento dell'età pensionabile di ulteriori 5 anni», ha dichiarato il segretario della Cisl, Luigi Sbarra ponendo un'ipoteca sul confronto con il governo. Il problema, come detto, è la programmata riforma degli ammortizzatori sociali. Il costo dell'universalizzazione della cassa integrazione e del varo di sistemi di protezione sul modello Naspi anche per gli autonomi costa 10 miliardi dei quali solo 1,5 miliardi saranno recuperati grazie allo stop al cashback di Stato. Le risorse per un intervento sulle uscite anticipate sono, pertanto, molto limitate.

Se, da un lato, è molto probabile che vengano prorogate forme di pensionamento anticipato come l'Ape social (dedicato a chi ha 63 anni con 30 di contributi ed è rimasto senza lavoro e/o deve prestare assistenza a familiari) e opzione donne il cui costo è contenuto, dall'altro è difficile al momento pensare che si possano stanziare di importo equivalente a quota 100 che costa circa 8 miliardi sebbene l'utilizzo sia stato inferiore alle attese. Una delle soluzioni allo studio prevedrebbe la possibilità di un uscita anticipata a 64 anni con 36 (o 38 di contributi) ma solo se per assegni pari a 2,8 volte il minimo (poco meno di 1.500 euro). Strutturata in questo modo e con una penalizzazione legata al ricalcolo contributivo, la misura avrebbe un costo abbastanza esiguo. Molto più difficile, invece, realizzare una sorta di quota 41 generalizzata, ossia il pensionamento con 41 anni di anzianità contributiva poiché aumenterebbe le uscite correnti dell'Inps.

In questo modo, si eviterebbe il requisito anagrafico che dall'anno

prossimo, tornerà a 67 anni di età. Oltre ai sindacati, però, anche la Lega - e Matteo Salvini in primis - è molto coinvolta in questa battaglia e pertanto la melina del ministro Orlando e del ministro Franco potrebbe durare poco.

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