Pensioni, spunta quota 41 con assegni Inps più bassi

La tentazione del governo: dal 2022 semaforo verde all'uscita anticipata, ma il calcolo sarà con il metodo contributivo

Pensioni, spunta quota 41 con assegni Inps più bassi

A metà settembre ripartirà il cantiere della riforma previdenziale. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, a fine luglio ha confermato ai sindacati che quota 100 resterà in vigore fino alla naturale scadenza del 31 dicembre 2021. Ma poi occorrerà inventarsi qualcosa per evitare che i lavoratori restino «intrappolati» nello scalone della riforma Fornero (67 anni e 20 di contributi) che risulterebbero penalizzante per persone che fino a pochi giorni prima avrebbero potuto ritirarsi dal lavoro con 62 anni di età e 38 di contributi.

Nella mente di Catalfo sta balenando un'idea che piace tanto ai sindacati quanto alla maggioranza e al principale partito di opposizione (la Lega): varare quota 41. I problemi non sono pochi. Da una parte, si estenderebbe l'uscita anticipata per i lavoratori precoci (coloro che hanno almeno 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni di età) a tutti gli italiani. Dall'altra parte si dovrebbe, infatti, eliminare il secondo requisito che permette a costoro di uscire dal mondo del lavoro, cioè l'appartenenza a una categoria svantaggiata (disoccupati, invalidi al 74%, caregivers o lavoratori gravosi).

Ne consegue che una simile riforma abbasserebbe l'età della pensione di vecchiaia, attualmente fissata a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini (41 anni e 10 mesi) per le donne. Occorrerebbe, pertanto, fissare un requisito anagrafico a 62 o 63 anni, trasformando di fatto quota 100 in una quota 103 o 104. Considerata la curva demografica, a regime un simile provvedimento potrebbe costare fino a 12 miliardi di euro in più per un Paese che spende il 16,7% in spesa previdenziale e che, se vorrà accedere alle risorse del Recovery Fund, dovrà dimostrare un intento riformista per tenere le persone al lavoro e non, invece, allontanarle. Ecco, quindi, che si fa strada l'idea della penalizzazione, ossia eliminare il calcolo di quota retributiva per coloro che hanno iniziato a lavorare prima della riforma Dini (1 gennaio 1996). Il costo di una simile riforma, in questo caso, scenderebbe a zero perché i pensionati incasserebbero quanto versato al lordo della rivalutazione. Ovviamente, sarebbero meno contenti coloro che hanno iniziato a lavorare nella prima metà degli anni '80 che rischierebbero di vedersi tagliati importi sostanziosi. D'altronde, lo stesso presidente dell'Inps, pasquale Tridico, in una recente intervista aveva dichiarato che «se volessimo anticipare per tutti l'uscita dal lavoro, questo dovrebbe essere possibile solo passando al contributivo: cosi ciascuno avrà quello che ha versato, senza un costo per lo Stato». Opzione donna, ha aggiunto, «permette alle donne di andare via anche a 58 anni con 35 anni di contributi, se optano per il sistema contributivo e molte hanno accettato».

La proroga al 2021 di Opzione donna, dell'Ape social (uscite anticipate con 63 anni di età e 30 di contributi), delle staffette generazionali e dei contratti di solidarietà espansiva (riduzione dell'orario degli anziani per permettere l'ingresso di giovani) saranno al centro di un nuovo incontro tra Catalfo e i sindacati in calendario l'8 settembre, mentre la settimana successiva (il 16) si parlerà della riforma.

Dal punto di vista delle legge di Bilancio 2021 è più importante il primo viste le risorse limitate, per l'esito delle Regionali del 20 e 21 settembre sarà più importante il secondo. Le uscite anticipate, soprattutto se non sono a costo zero, portano voti.

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