«Non possiamo pensare di arrivare al 2023 per avere la banda ultralarga. Serve subito una rete unica nazionale che consenta a cittadini e imprese un accesso rapido ai servizi digitali». Lo ha detto ieri, o forse sarebbe meglio dire anche ieri, il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli (nella foto). La rete unica è dunque molto invocata dal governo, che ha scoperto, con la pandemia dirompente, che i cittadini hanno bisogno di collegamenti a Internet veloci ed efficienti. Peccato la distanza tra i due protagonisti di questo matrimonio, ossia Tim e Open Fiber. Senza contare le già nutrite rimostranze dei concorrenti da Vodafone alla neo arrivata nel settore Sky Italia che vogliono una rete unica ma gestita da un soggetto che non sia anche operatore telefonico, ossia non da Tim. Viene però il sospetto che, al momento, la situazione sia ottimale per i concorrenti dato che Tim per «noleggiare» la sua rete in fibra ha prezzi stabiliti dall'Authority mentre Open Fiber può fare le tariffe che vuole, ovviamente inferiori a quelle di Tim. Ma il gestore fosse unico potrebbe imporre tariffe di mercato basate sui costi ossia sugli investimenti che sono come tutti sanno elevati. Le grandi manovre sulla rete sono cominciate e il mercato comincia a crederci visto il balzo di Tim dell'altro ieri, confermato ieri con un leggero rialzo (+0,16%).
L'operazione prevede l'ingresso di un fondo infrastrutturale che possa comperare la quota del 50% posseduta da Enel in Open Fiber. A quel punto Cdp, che possiede il 10% di Tim e l'altro 50% di Open Fiber, si ritroverebbe ad avere circa il 25% dell'ex-monopolista. E la rete unica potrebbe andare in porto.
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