La possibile nomina del leghista Giancarlo Giorgetti al Ministero dell'Economia e delle Finanze nel nascituro governo di centrodestra ha scatenato una serie di critiche da più parti che spesso hanno poco a che fare col dato politico o delle proposte concrete della coalizione di centrodestra e si insinuano su crinali differenti.
Dagospia in una nota ha usato l'accetta e definito la possibile nomina di Giorgetti "la cazzata di Giorgia [Meloni, ndr]": "il dicastero chiave, quello che dovrà gestire la crisi incombente e governare con oculatezza le spese degli altri ministeri (a partire di quello delle Infrastrutture, che ha in pancia il grosso dei fondi del Pnrr, in cui potrebbe accasarsi il suo capo, Matteo Salvini), può mai essere guidato dal più pavido e incolore degli esponenti leghisti".
Entra in gamba tesa anche il noto economista di sinistra Emiliano Brancaccio, che su Twitter allude alla "totale incompetenza scientifica", dunque al non essere economista di Giorgetti, aggiungendo però che "è solo l'ultimo dei problemi". E attacca Giorgetti presentandolo come "educato a servire la classe dominante e a dirimere i conflitti interni ad essa schiacciando le istanze del lavoro". A suo avviso il deputato varesino "avrà gioco facile a blandire la risibile, vasta opposizione draghiana".
Mauro Del Corno de Il Fatto Quotidiano fa eco al docente dell'Università del Sannio ricordando che a suo avviso che l'attuale titolare dello Sviluppo economico lasci al Mise una vera e propria "esperienza disastrosa".
Sulla capacità del leghista ha espresso i suoi dubbi anche il politologo dell'Università del Molise Marco Gervasoni, che rispondendo al giornalista di Radio24 Simone Spetia che ricordava come il nuovo ministro dell’Economia sia destinato a trovare 40-50 miliardi di euro in deficit in due settimane ha risposto: "non credo neppure sappia parlare inglese". Gervasoni ha paragonato Giorgetti a Kwasi Kwarteng, il Cancelliere dello Scacchiere licenziato in Regno Unito da Liz Truss, e scritto sul suo profilo ha definito "incapace" e "sopravvalutato" per le competenze economiche Giorgetti.
Un vero e proprio fuoco di fila quello che ha investito il titolare del Mise su cui si è, in sostanza, riversata sia la scettica constatazione di parte dell'establishment di potere, che nelle note di Dagospia ha la sua espressione, sia la critica da sinistra circa l'assenza di competenze tecniche e il giudizio consolidato dell'operato nel governo Draghi. Ma a ben guardare il lato tecnico nel governo del Mise è molto più accentuato su questioni come la politica industriale rispetto al portato di economia pura che un decisore deve amministrare alla testa del Mef.
Il Mef è una burocrazia strategica assai complessa, Stato nello Stato guidato dal Direttore Generale del Tesoro e dal Ragioniere Generale dello Stato nella definizione delle manovre economiche e che lascia la maggiore discrezionalità politica al titolare pro tempore della carica in campi tutt'altro che strettamente tecnici: le nomine alle società partecipate, la scelta delle priorità per le negoziazioni sul Documento di Economia e Finanza, il coordinamento con i colleghi europei. Negli ultimi decenni è passata l'idea che il Ministro dell'Economia e delle Finanze debba essere necessariamente un economista supposto imparziale, quasi che l'economia non fosse scienza sociale figlia del tempo e del contesto ma bensì una scienza esatta governabile con goniometrica precisione.
Del resto, dal 2001 in poi, dopo l'istituzione del dicastero conseguente all'unione tra Ministero delle finanze e Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il maxi-ministero del Mef ha vissuto una necessaria compresenza tra livello politico e burocrazia interna, mentre alla guida si sono sempre alternate figure politiche ornate comunque dei crismi della tecnica come Giulio Tremonti (2001-2004; 2005-2006; 2008-2011), nominato a Via XX Settembre da parlamentare di Forza Italia e Popolo delle Libertà, e Pier Carlo Padoan (2014-2018), marcatamente di area Partito Democratico nei governi Renzi e Gentiloni e poi onorevole dem, a figure dalla formale mancanza di affiliazioni di sorta. A quest'ultima categoria appartengono Domenico Siniscalco (2004-2005), Tommaso Padoa Schioppa (2006-2008), Vittorio Grilli (2012-2013), Fabrizio Saccomanni (2013-2014), Giovanni Tria (2018-2019) e l'uscente Daniele Franco (in carica dal febbraio 2021).
Giorgetti, in tal senso, seguirebbe la scia dell'attuale sindaco di Roma Roberto Gualtieri, in carica dal settembre 2019 al febbrao 2021 nel governo Conte II e spiccatamente organico al Pd pur non essendo economista di professione. Ha ragione Giuliano Ferrara nel sottolineare che Giorgetti al Mef potrebbe contribuire a ripoliticizzare il Mef dopo che la stessa era Gualtieri è stata viziata dall'emergenzialità della pandemia. E certamente, a prescindere dalle scelte che Giorgia Meloni farà, non è scritto nelle stelle che il titolare dell'Economia debba avere entrature globali pre-esistenti, essere un professore o uno studioso di professione o promuovere il primato della tecnica sulla politica. Olaf Scholz, attuale Cancelliere tedesco, è stato Ministro delle Finanze nel governo Merkel IV (2017-2021) senza essere economista; lo stesso dicasi di Bruno Le Maire, in sella in Francia dal 2017, menntre Sigrid Kaag, titolare delle Finanze nel governo olandese di Mark Rutte, è addirittura un'ex diplomatica.
Insomma, per quanto si possa avere - legittimamente - qualsiasi riserva sulla nomina di Giorgetti o di qualsiasi altro nome a una carica strategica come il Mef l'Europa insegna che, in questo senso, non è la "tecnicizzazione" delle cariche apicali a fare la differenza sulla qualità di un ministro.
Dai fatti si dovrà giudicare ogni nome proposto nel futuro governo di centrodestra, non dal curriculum pregresso o da preferenze per una data visione della politica economica che tende a mettere ai margini qualsiasi decisione discrezionale di stampo ideologico o partitico.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.