Continua la riorganizzazione di Tim da parte del presidente Salvatore Rossi e del direttore generale Pietro Labriola dopo che l'ad Luigi Gubitosi ha rimesso le deleghe. Ieri è uscito Carlo Nardello, chief strategy officer fedelissimo dell'ex-ad e il capo di technology e operation Nicola Grassi. Mentre Stefano Siragusa è diventato vice direttore generale nonchè capo della rete (chief network e wholesale officer).
Vengono costituite anche tre nuove funzioni: per le imprese affidata a Massimo Mancini e brand strategy affidata a Sandra Aitale; mentre quella per il consumer è affidata ad interim allo stesso Labriola. Le sfide per Tim certo non mancano, vuoi per rilanciare il business e rinegoziare il contratto con Dazn vuoi anche per la proposta di Opa fatta da Kkr, per la quale sono stati appena nominati gli advisor che trova l'ostilità del maggior azionista Vivendi e di una parte della politica. Il risultato di tanta incertezza è che anche ieri in una buona giornata per la Borsa, il titolo Tim è sceso dell'1,4% (a 0,45 euro ad azione) portandosi sotto il prezzo di Opa (0,505 euro ad azione).
Certo il settore delle tlc arranca, come certificano i dati resi noti ieri dall'Agcom con un apposito focus. Nel dettaglio i ricavi complessivi del comparto nel quinquennio 2016-2020 si sono ridotti del 10,1%, passando da 31,5 miliardi nel 2016 ai 28,3 miliardi nel 2020. L'Autorità presieduta da Giacomo Lasorella ha sottolineato che nel 2019 il settore si era leggermente ripreso ma nel 2020 con la pandemia, nonostante la necessità di connessioni in rete, i margini lordi si sono nuovamente contratti passando dal 38,5 al 36,6%. Esaminando i numeri nel periodo 2010-2020 a fronte di ricavi per oltre 365 miliardi il risultato netto aggregato è di circa 900 milioni.
I dati esprimono gli effetti della concorrenza e la natura fortemente «capital intensive» del settore, con flussi di investimenti (in infrastrutture fisiche e asset immateriali) che nel periodo 2010-2020 sono stati pari a 77,1 miliardi. Mentre gli investimenti tra il 2016 e il 2020, pari a 40,6 miliardi, hanno assorbito oltre il 95% dei flussi di cassa generati dall'attività operativa. A soffrire anche il numero di addetti che, a fine 2020, risultavano essere 60.600, con una riduzione, in un anno, di 1.400 persone. Secondo Agcom il trend è in atto da tempo (nel 2016 gli organici del comparto erano circa 70mila) a causa dei processi di riorganizzazione dei principali operatori (Tim, Vodafone e Wind Tre).
Ma certo ci sono stati nuovi entranti come Iliad e Open Fiber (non presenti sul mercato nel 2016) che hanno superato a fine 2020, complessivamente, i 1.300 addetti e anche operatori Fwa come Eolo e Linkem hanno assunto nel periodo circa 300 persone.
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