Trump: "Sui tassi la Fed è impazzita"

The Donald attacca Powell: «Non lo licenzio, ma sono deluso». Il muro della Sec

Trump: "Sui tassi la Fed è impazzita"

Donald Trump torna ad attaccare, per la terza volta quest'anno, la Fed: «È impazzita. Non mi piace quello che sta facendo, non penso ci sia bisogno di andare così veloci sui tassi. Non abbiamo un problema di inflazione», ha affermato il presidente americano all'indomani del mercoledì nero di Wall Street. Un tonfo del 3,1% per il Dow Jones, del 3,29% per l'S&P500 e di oltre il 4% per i Nasdaq, che ha rappresentato il peggior calo dell'era Trump. E ha contagiato, ieri, le Borse mondiali e in particolare l'Asia: Tokyo (-3,89%) e Hong Kong (3,79%), ma anche Shanghai e Shenzhen che hanno ceduto rispettivamente il 5,22 e il 6,07% ai minimi da novembre 2014. Non meglio l'Europa, che ha bruciato 165 miliardi, con Milano che ha ceduto l'1,8%.

Uno smacco per il tycoon, a stretto giro dalle elezioni di metà mandato, che ha fatto del successo dell'economia e della Borsa Usa un pilastro della campagna elettorale. Da qui, anche, l'attacco alla Federal Reserve: «Non licenzierò Jerome Powell, ma sono deluso». Trump precisa di non aver parlato direttamente con Powell e, dal canto suo, la portavoce, Michelle Smith, ha rifiutato di commentare le esternazioni del presidente. Pro Fed è invece scesa in campo il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde.

Trump aveva già criticato pubblicamente la Fed a luglio per gli aumenti dei tassi di interesse e ha dichiarato di essere «non felice»a settembre, quando la banca Usa ha alzato i tassi per la terza volta quest'anno.

«Tutti sappiamo che la Fed è indipendente. Donald Trump non sta dettando la politica della banca centrale» ha affermato Larry Kudlow, il consigliere economico della Casa Bianca, cercando di smorzare le polemiche sulle accuse del presidente americano contro la Fed. Kudlow ha poi definito il calo di Wall Street di mercoledì «una normale correzione». Di fatto ieri Wall Street, seppur negativa, ha diminuito le perdite, grazie anche al dato sull'andamento dell'inflazione Usa inferiore alle attese, che ha tolto un po' di pressione dagli investitori: l'aumento dei prezzi americani è stato dello 0,1% su base mensile, quando gli analisti puntavano su uno 0,2%. Su base annua il progresso è stato invece del 2,3%, rispetto al 2,7% del mese precedente e sui livelli più bassi da febbraio. Se si fosse registrata una fiammata dei prezzi, sarebbe stata una spinta ulteriore alla Federal Reserve per accelerare il rialzo dei tassi.

Di fatto, a favorire le vendite sui listini Usa è sostanzialmente il rialzo dei rendimenti dei T-Bond, che rende meno appetibile l'azionario e in particolare favorisce la vendita dei tecnologici, i titoli più sopravvalutati.

Non aiuta poi la politica dei dazi contro la Cina che si sta rivelando per Trump un pericoloso boomerang e non accenna a rientrare. Ieri The Donald è tornato sul tema, facendo sapere che potrebbe fare «molto di più» per danneggiare ulteriormente l'economia cinese. Il mese scorso Trump ha imposto tariffe per quasi 200 miliardi sull'import cinese negli Usa e ha minacciato altre tasse se la Cina si fosse vendicata. Pechino ha risposto agli Usa imponendo tariffe per 60 miliardi di dollari sulle importazioni americane. «Tutto ciò - ha detto Trump - ha avuto un grande impatto. La loro economia è calata in modo sostanziale e io se volessi potrei fare molto di più.

Non voglio farlo, ma devono venire al tavolo». Intanto ieri, la Sec ha rispedito al mittente, in nome della trasparenza, la richiesta avanzata dal presidente di eliminare le trimestrali delle società quotate per passare a un sistema semestrale.

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