EILEEN GRAY Il diavolo del focolare

Visionaria e metamorfica, progettava arredi e case come organismi viventi: «Per creare bisogna mettere tutto in discussione»

Accadde così: nel 1971, il giornalista trentenne Bruce Chatwin intervistò l’architetto novantatreenne Eileen Gray, ormai cieca, nel suo appartamento di Rue Bonaparte 21, a Parigi. E mentre era lì notò una mappa della Patagonia dipinta da Eileen. «Ho sempre desiderato andarci», le disse Bruce. «Anche io», rispose Eileen. «Ci vada lei al posto mio». Chatwin partì all’istante e appena arrivato spedì un telegramma al giornale: «Sono andato in Patagonia», insieme alle proprie dimissioni. Accadde così quasi sempre, a Eileen Gray: di essere il motore di grandi imprese e di venire poi costretta ad abbandonare le sue creature, il suo nome dimenticato, quando non usurpato.
Ma come accadde che una ricca aristocratica irlandese di origini scozzesi nata nel 1878 a Enniscorthy, contea di Wexford, divenne quintessenza dello stile francese, ovvero una delle designer più famose dell’art déco parigina? «Per creare», disse una volta, «bisogna prima mettere tutto in discussione». Ed Eileen Gray lo fece. Mise in discussione il coraggio fisico: si lanciò giù da una collina su una carrozzella per invalidi, fu una delle prime donne ad affrontare un volo in aeroplano, a 80 anni suonati voleva comprarsi una Vespa. Adulta, mise in discussione il suo rango: dopo aver frequentato la Slade school of fine art, si stabilì a Parigi, ma invece di dedicarsi alla gioielleria o al ricamo, scelse un’oscura e complessa arte orientale: la lacca. Un materiale sensuale e ascetico, che ben si adattava alla sua natura. Imparò dal giovane artigiano giapponese Seizo Sugawara e per mesi lasciò a malapena il laboratorio. Braccia e mani si ammalarono di un’eruzione cutanea cronica e dolorosa.
Mise in discussione anche il suo sesso, Eileen, o meglio il costrutto della donna come «essere privato», e incarnò la «donna nuova» del Novecento: con il taglio «alla maschietto», fuma in pubblico, siede nei caffé e guida l’auto. Ebbe storie d’amore con uomini e donne, con cui frequentava ristoranti e nightclub in abiti maschili, e fu habituée, con Colette, Gide, Proust, Rilke, Joyce, Gertrude Stein, del Temple de L’Amitié di Nathalie Clifford Barney. Dopo la guerra, eccitata dai modelli di Bakst per i Balletti russi di Diaghilev fece dell’appartamento in rue de Lota da Madame Mathieu Lévy, una delle più grandi stiliste di Parigi, la sua Shéhérazade: pannelli laccati, cuscini dorati e uno dei suoi progetti più noti, il letto a piroga in lacca e foglie d’argento, degno di Cleopatra. Nel 1922, al 27 di rue du Faubourg St. Honoré, aprì la Galérie Jean Désert, con una clientela di scrittori, politici, artisti e architetti.
Visionaria, dalla squisita semplicità metamorfica, devota ad una funzionalità emozionale per cui la casa è «un organismo vivente», inventrice del camping style, che liberava il nomadismo entro le mura domestiche, mise in discussione anche i colleghi: «L’intimità è svanita, l’atmosfera è svanita. La povertà dell’architettura moderna è legata all’atrofia della sensualità». Non ebbe mai un mentore maschio, come accadde per Charlotte Perriand con Le Corbusier o per Lily Reich con Mies van der Rohe. L’architetto e critico romeno Jean Badovici, allora senza un soldo, vide in lei talento (e ricchezza per coltivare i suoi propri sogni). E lei fu travolta dall’insistenza di lui perché costruisse.
Così, nel 1925, Eileen parcheggiò l’auto vicino alla stazione di Roquebrune-Cap St. Martin, Costa Azzurra, e percorse il sentiero sottostante. Qualche minuto dopo, giù dalle rocce, verso i pini marittimi, giungeva a un modesto terrazzamento. Aveva trovato il luogo per una nuova idea di casa. Chiamò il suo compagno Badovici. A lui il posto piacque. Lei lo comprò a suo nome e stese il progetto. Per tre anni seguì il cantiere, quasi sempre sola, eccetto per i locali che si aggiravano nei pressi per vedere che cosa facesse «quella matta di un’inglese». Gray chiamò la casa E.1027: E per Eileen, 10 per la lettera J nell’alfabeto, 2 per la B e 7 per la G. Una casa viva, come una barca spinta dal vento, con i mobili integrati all’architettura: le sedie Transat e Bibendum e il tavolo circolare E1027 regolabile in altezza, progettato per la sorella, che amava far colazione a letto.
Ormai anziana, Eileen scrisse: «Ho sempre avuto paure istintive. Dei fantasmi, della gente. E ho cercato di vincerle. Invano». E i fantasmi apparvero. Nel 1937, la relazione con Badovici, quattordici anni meno di lei, bevitore e seduttore, si allentò. Gray se ne andò e costruì Tempe à Pailla, una minuscola casa per sé nella vicina Castellar. Nel 1938, Le Corbusier, ospite abituale della E.1027, entrò nella villa, si spogliò nudo e dipinse i bianchi muri con otto graffiti a sfondo sessuale. Come tutti i colonizzatori, vide quell’atto vandalico come un dono. Eileen si sentì stuprata e non volle mai più rivedere la sua «maison en bord de mer». E quando l’Union des artistes modernes organizzò un’esposizione in onore di Badovici a Parigi, l’E.1027 fu attribuita a «Jean Badovici con la collaborazione di Eileen Gray per gli arredi», come se alle donne fosse riservato per sempre il compito di scegliere le tende.
Nel 1944 la casa di Castellar venne saccheggiata: oggetti e mobili salvaspazio (tra cui la sedia pieghevole S e un mobile double-face, ispirazione per il Boby Trolley del 1970 di Joe Colombo) vennero usati per accendere il fuoco. E.1027 venne occupata, i graffiti di Le Corbusier usati per le esercitazioni di tiro. L’amore di Eileen per la Costa Azzurra tuttavia rimase immutato: nel 1953 iniziò a ristrutturare un vecchio cabanon vicino a Saint Tropez. Aveva 75 anni. Si accampò al cantiere per settimane, dormendo su una branda da campo con la pioggia che filtrava dal tetto. Quando terminò, aveva ottant’anni e Badovici era morto. Fu Gray a occuparsi del suo funerale.
Solo E.1027, il più imponente dei fantasmi evocati da Eileen, l’ha nel tempo vendicata: Marie-Louise Schelbert, la vedova svizzera che l’acquistò dalla sorella di Badovici, morì in circostanze misteriose. Heinz Peter Kägi, il medico che l’acquisì, forse illegalmente, morì accoltellato sul grande terrazzo. Il 27 agosto 1965 Le Corbusier, che sopra alla E.1027 aveva eretto il suo famoso Cabanon, dal sentiero accanto alla casa finì in acqua e morì di un attacco di cuore.

Ironia della sorte di Eileen, dominatrice nella grandezza, vinta nella meschinità: nel 1998 E.1027 fu dichiarata monumento storico per merito dei graffiti di Le Corbusier. Cui, naturalmente, è dedicato il sentiero che vi conduce.

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