Emergency si ritira e dà la colpa al solito Berlusconi

È l’ultima livorosa e spregiudicata crociata di Emergency. Una crociata che punta ad addossare al governo italiano la responsabilità per il ritiro dei suoi medici ed infermieri da Misurata. Tutto inizia con il comunicato del 25 aprile intitolato «Le bombe non proteggono i civili... Emergency è costretta a lasciare il Paese». Il trucco è tutto nel primo capoverso. «Il governo italiano - recita l’incipit - continua a delinquere contro la Costituzione e sceglie la data del 25 aprile per precipitare il Paese in una nuova spirale di violenza». L’obbiettivo è chiaro. Emergency vuole farci credere di non poter operare in un Paese prossimo obbiettivo delle bombe di “belzebù” Berlusconi. Il pretesto è indubbiamente efficace, ma falso. Per capirlo basta scendere di due capoversi. «Negli ultimi giorni i combattimenti sono arrivati alle porte dell'ospedale – spiega il comunicato -. L'ospedale, i suoi pazienti e i medici che li curano sono diventati un bersaglio della guerra. Per questa ragione lunedì 25 aprile la direzione sanitaria ci ha dato l'ordine di evacuare. I sette membri del team di Emergency sono, in questo momento, in viaggio verso Malta, in attesa di poter riprendere l'intervento umanitario in Libia».
La doppia frottola è evidente. A chiarirla ci pensa la stessa Emergency quando spiega che la partenza è stata decisa in seguito ad un aggravamento della situazione e dopo una richiesta di evacuazione della direzione sanitaria. Dirlo non è una vergogna. Pur di sparare sul governo Emergency cambia, invece, le carte in tavola e bara sui tempi. La decisione italiana di partecipare ai bombardamenti trapela solo nella tarda serata di lunedì. In quel momento la missione a Misurata si è già chiusa e i volontari di Emergency sono già, lo spiega il comunicato, su un’imbarcazione diretta a Malta. Dunque tra l’addio a Misurata e l’annuncio del governo non c’è legame. Se non quello inventato, per ragioni propagandistiche, dai vertici dell’organizzazione.
Quel che più colpisce in questa commedia è la mancanza di rispetto per il lavoro dei propri uomini. Una decina di giorni fa avevo incontrato a Misurata l’anestesista Paolo Grosso, il chirurgo Antonio Rainone, il logista Antonio Molinari, il traumatologo Alberto Landini, e gli infermieri Marina Castellano e Michele Trolesi. Non facevano politica. Non recitavano slogan pacifisti. Lavoravano sodo. Si sporcavano le mani di sangue. Rischiavano la pelle. Come me erano arrivati a Misurata anche grazie ai bombardamenti della Nato che avevano permesso di allentare la cerchia stretta dai miliziani gheddafiani intorno al porto. Lavoravano, rischiavano la pelle e non raccontavano balle.

Ora i loro capi li usano per inscenare la solita fola pacifista, e raccontarci che il vero dramma non è la guerra in corso, ma la scelta italiana di contribuire alla missione della Nato. Quanta malafede. Quanto astio. Quanto spregiudicato rancore dietro la carità pelosa di Gino Strada e degli altri «agit prop» di Emergency.

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