Facebook, X, Instagram, Threads, Tik Tok: anatomia dei social

Ecco come funzionano, chi li usa e qual è il loro stato di salute

Facebook, X, Instagram, Threads, Tik Tok: anatomia dei social
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Come stanno i social? Comincio da X, dove c’è chi se ne va e chi arriva, e la narrazione dice che è in perdita a causa di Musk, il quale però lo comprò già in perdita, pagandolo il triplo (44 miliardi di dollari), era già pieno di bot e fake news, insomma già un uccellino morente. Se vai su X per leggere le news va bene (se sai scremarle), ma se sei minimamente noto qualsiasi cosa tu posti, di sinistra, di destra, di niente, viene subito commentata dall’esercito delle dodici scimmie che hanno prolificato e sono centinaia sotto ogni post e indistiguibili dai bot. Oltretutto molti con la spunta blu, perché per far cassa Musk l’ha messa a pagamento, quindi anche il ragionier Rossi con cinquanta follower ha la spunta blu, si sente importante pagando qualcosa che non significa più niente. Insomma, si posta su X, se conosciuti, per farsi insultare, se sconosciuti per insultare i conosciuti. Alla sera però ci sono gli spazi, dove si riuniscono gruppi per parlare dei loro argomenti preferiti. Può partecipare chiunque, purché non dica cose intelligenti. Gli argomenti fissi sono quattro, volendo esagerare: il Grande Fratello, complottismi vari, il Grande Fratello, e complottismi vari.

Che dire del caro vecchio Facebook? È come i famosi cantieri che guardano i pensionati, un social catatonico. C’è ancora qualcuno che cerca di scrivere qualcosa di serio, ma anche se hai 5000 «amici» e 5000 follower ti leggono in quattro, lo ha deciso Zuckerberg, abbassando il reach, soprattutto dopo il mancato accordo con l’editoria, quindi se posti un link a un quotidiano non lo vedono neppure quei quattro (aperta Parente: non sarebbe convenuto agli editori occidentali accordarsi con i social e spartirsi la pubblicità?). Su Facebook almeno non ti insultano, perché fai presto a togliergli l’«amicizia», ma è pure probabile che gran parte di coloro che hai tra gli amici da quindici anni siano morti.

Instagram è un social chiuso, serve a vedere cosa mangiano i vip, dove passano le vacanze i vip, su quale yacht prendono il sole i vip, e agli altri a fare le stesse foto per sembrare uguali ai vip, insomma gli sfigati. Funzionano i reel, i brevi video, purché non siano troppo lunghi, già un minuto è troppo per i cervelli social. L’altro giorno l’eroico chimico Dario Bressanini ha deciso di sfidare gli algoritmi annunciando un tentativo di video divulgativi di cinque minuti, con l’aria scoraggiata di chi sa già che sarà punito dall’algoritmo. Intorno a Instagram gira tutta un’economia di influencer, e di pubblicità, sempre le stesse, su come scaricarsi le app per dimagrire, o come scrivere un libro con l’AI senza avere competenze e senza neppure doverlo leggere, e come autopubblicarselo (per venderlo a chi? A lettori che abbiano un’AI per leggerlo al posto loro immagino).

Come su Tik Tok, vincono sempre i reel più stupidi, ma anche io a volte finisco nel loop, ne vedi uno, ne vedi un altro, e dopo mezz’ora ti domandi: «Ma che cavolo sto facendo?». Molti sono i giovani che non vogliono studiare perché vogliono fare soldi con Instagram o Tik Tok, pensano: se ci è riuscito quello perché non io? Fare soldi e essere noti per aver trovato qualcosa di virale. Per le ragazze sfaticate invece c’è Onlyfans, sebbene cominci a essere un po’ affollato, e poi è un social anche sessista: se non hai le tette non vai da nessuna parte.

Il mistero è Threads, l’alternativa a Twitter creata da Zuckerberg. Ci entri e è pieno di ragazzine, ragazze e signore in pose sexy che ti invitano a seguirle, e sono le più seguite in effetti. Però a differenza di X le parolacce vanno scritte con l’asterisco, devi essere politicamente correttissimo, al limite del rigor mortis, e ti bloccano pure se si intravede un capezzolo (l’algoritmo non comprende però ciò che è ammiccante, basta un Calippo), come fosse un algoritmo programmato da un circolo di boy scout. Una volta al mese te ne ricordi, dai un’occhiata, pensi boh, e te ne vai.

Di libri in ogni caso ovunque neppure l’ombra, le case dei vip e dei finti vip ne sono prive, però ci sono i bookinfluencer, dei quali da una fonte ufficio stampa di una grande casa editrice sono venuto a sapere che vengono pagati per sponsorizzare i libri. Neppure loro leggono. D’altra parte se leggessero chi li seguirebbe.

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