Afghanistan, muore soldato dopo bombe su base italiana

Il sergente Michele Silvestri ucciso e altri cinque militari feriti da colpi di mortaio: tra loro una donna, è grave. Monte di Procida in lacrime, la moglie della vittima sviene

Afghanistan, muore soldato dopo bombe su base italiana

La chiamano Fob Ice, base avanzata Ghiaccio, ma è la base della paura. Sono 40 metri di reti, altane e sacchi di sabbia allungati sullo strapiombo di un torrente. Un salsiccione lungo e piatto, un ovale schiacciato di non più di 15 metri di diametro compressi tra container, tende e mezzi blindati. Quindici metri per quaranta, arruffati tra quel greto appeso ad un corso d’acqua rinsecchito e una valle di ciottoli e creta. Costruita di fronte ad un villaggio ostile, circondata da alture dove si annidano insorti, trafficanti di droga e talebani, Fob Ice è il più isolato, il più esposto, il più vulnerabile degli avamposti italiani in Afghanistan. Lì ieri verso le 18 locali tre bombe di mortaio sono esplose all’interno del ristretto perimetro occupato dai nostri militari uccidendo Michele Silvestri, sergente del 21° Genio Guastatori di Caserta e ferendo cinque suoi commilitoni del primo reggimento Bersaglieri: tra loro c’è una donna, la volontaria di truppa Monica Graziano, che è in gravi condizioni.

Il sergente Silvestri 33 anni, sposato e padre di un bimbo, è il cinquantesimo caduto di questa missione, il secondo a morire all’interno di quella minuscola base dove il 31 dicembre 2010 un proiettile uccise l’alpino Matteo Miotto. Il distretto del Gulistan, il cui nome in pashtun significa «valle dei fiori», si conferma dunque la valle della morte per i nostri soldati. Il 9 ottobre 2010, qualche decina di chilometri più a sud-ovest, erano caduti dilaniati da una trappola esplosiva gli alpini Gianmarco Manca, Marco Pedone, Sebastiano Ville, e Francesco Vannozzi.

L’attacco di ieri all’avamposto di Fob Ice non è stata un’operazione improvvisata. Tutto inizia verso le 11 di mattina quando una prima serie di colpi cade intorno alla base. La prima salva non fa danni perché esplode al di fuori delle recinzioni. Verso il tramonto tutto ricomincia. Le sentinelle appostate sulle tre garitte della base percepiscono il classico suono ovattato delle granate di mortaio in uscita e lanciano l’allarme. Stavolta gli insorti, spostatisi probabilmente in una posizione più agevole, sparano con precisione devastante e riescono a indirizzare tre granate all’interno del piccolo avamposto. Purtroppo il colpo non si ferma sulle recinzioni di sabbia e rete metallica disposte intorno alla base, né sui terrapieni che proteggono i tetti degli alloggiamenti. Lo spazio limitato della piazza d’armi, attorno a cui s’allineano tende e mezzi moltiplica l’effetto letale delle schegge. Quando i nostri elicotteri levatisi in volo da Farah raggiungono la zona dell’attacco, Silvestri è già morto. Gli altri cinque feriti sono invece in volo verso la base americana di Delaram, una cinquantina di chilometri più a sud dove si trova il più vicino e meglio attrezzato ospedale da campo. I nostri Mangusta, secondo fonti dello Stato Maggiore della Difesa, fanno però in tempo a individuare il gruppo di insorti che probabilmente sta ancora spostando il mortaio verso una zona più sicura e a neutralizzarli a colpi di razzi.

Ora bisognerà capire la dinamica dell’attacco e perché dopo la prima salva di mortaio non si sia cercato subito d’individuare e colpire i responsabili dell’attacco. A rendere meno efficace la reazione ha sicuramente contribuito il periodo scelto per colpire l’avamposto. Il nuovo sanguinoso affondo dei talebani è coinciso infatti con il delicato momento della rotazione truppe. I militari del primo reggimento bersaglieri, arrivati nella base da pochi giorni, avevano appena completato l’avvicendamento con i marò della San Marco rimasti nella base da fine agosto allo scorso 14 marzo.

Nonostante la rotazione preveda almeno due settimane di passaggio di consegna durante la quale il personale uscente spiega ai nuovi arrivati le insidie della zona e i punti utilizzati più frequentemente per gli attacchi i bersaglieri non si sono trovati probabilmente nella condizione di replicare immediatamente all’attacco. O forse è mancato un immediato intervento dei nostri elicotteri che avrebbe potuto neutralizzare i talebani già in mattinata subito dopo la prima salva di mortaio.

Appresa

la notizia il presidente Giorgio Napolitano ha subito diffuso un comunicato in cui si dichiara commosso per la morte del militare e il ferimento dei cinque soldati colpiti mentre «assolvevano con onore il proprio compito».

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