Anche i nostri 007 vittime del blitz inglese

Anche i nostri 007 vittime del blitz inglese

«Il primo maggio del 2004 eri a Falluja con lo sceicco Kubeissi e un carico di medicine della Croce Rossa. Cercavate gli ostaggi italiani. Siete andati alla moschea di Abdul Aziz Salem. Gli americani l’avevano appena bombardata. Ci siete entrati e ne siete usciti vivi. Ti sei mai chiesto perché?». Il vecchio contatto sorride. «Quella volta funzionavamo. Non trattavamo solo con gentiluomini, molti insorti erano a libro paga. Metà soldi da noi, metà dai loro capi. Meglio metà informazioni che niente. In Afghanistan avevamo i signori della guerra. In Nigeria non stavamo solo al sud con le compagnie petrolifere, ma anche al nord. Oggi non c’è più niente. Negli ultimi anni facevo il passacarte. L’ordine era fare il meno possibile».
Era una spia. Oggi è un pensionato. Se gli chiedi perché gli ostaggi muoiono e gli alleati ci snobbano descrive un servizio segreto smantellato dalle fondamenta. Un servizio trasformato in agenzia d’informazioni dove il fattore umano, gli occhi sul campo, la rete di agenti stranieri a doppio servizio, criminali e terroristi è stata cancellata. Racconta di divisioni e cellule locali senza più autonomia. Anni fa creavano e gestivano reti nelle aree di competenza. Oggi sono uffici decentrati. L’iniziativa personale non è gradita. Gli ordini sono non spendere, non rischiare, non tenere collaboratori sul campo. Per i vecchi di Forte Braschi all’origine di tutto c’è la convinzione che intercettazione e analisi rimpiazzino le fonti sul campo. «Americani, inglesi e francesi hanno satelliti e sistemi autonomi. Noi sacrifichiamo le nostre capacità di stringere rapporti con i peggiori nemici per appoggiarci ai loro sistemi. Così perdiamo autonomia non abbiamo nulla da offrire, diventiamo succubi, inutili ed irrilevanti».
Dietro tanta frustrazione c’è la spiegazione del fallimento Nigeria. Otto mesi fa un’intelligence priva di contatti delega agli inglesi la gestione del sequestro di Franco Lamolinara. Il cambio di governo e l’indifferenza dell’informazione per le vicende dei rapiti non aiutano. Il governo Monti affida tutto a diplomatici di carriera e a servizi. Finché si tratta di gestire le trattative per il riscatto e gli agenti italiani si limitano ai rapporti con i britannici tutto fila liscio. Quando diventa essenziale percepire le reali intenzioni dei nostri alleati tutto si complica. A fine febbraio le forze speciali inglesi arrivano all’ambasciata britannica a Lagos, ma pur sapendolo intelligence e diplomazia italiane restano convinte che Londra sia disposta a concludere la trattativa. Il 27 febbraio la Farnesina mostra ai familiari di Lamolinara un video fornito dai rapitori e li rassicura. Il rilascio sembra imminente. I rapporti rarefatti con la controparte non consentono ai nostri agenti una corretta analisi del conflitto di competenze tutto inglese che determinerà la tragedia finale. L’arrivo dello Special Boat Service segna la prepotente discesa in campo dei militari inglesi e l’emarginazione dell’MI6, il servizio inglese che fin lì collabora con gli italiani.
La svolta arriva dopo localizzazione del covo dei rapitori ottenuta grazie alle indagini nigeriane e alle trascrizioni del Gchq, la struttura britannica responsabile delle operazioni d’intercettazione elettronica. Il Gchq e i militari fanno squadra emarginando gli agenti dell’MI6. L’alleanza tra Gchq e militari nasce anche dell’amicizia tra il generale responsabile delle forze speciali inglesi e David Cameron. Il generale spinge per una prova di forza che eviti la trattativa. Il Gchq passa al generale le intercettazioni che evidenziano il rischio di un’eliminazione degli ostaggi. Nelle prime ore di giovedì il generale le sottopone a Cameron aggiungendo la fatidica frase «ora o mai più». Contraddicendo ogni regola operativa si pianifica un assalto in pieno giorno. La cellula dei servizi italiani in Nigeria sottovaluta, pur ricevendola, l’informazione sull’avvio dell’azione armata. Non percependo le divisioni inglesi, interpreta l’inizio dell’azione come un opzione per catturare i rapitori a trattativa conclusa e liberazione ottenuta. La segnalazione inviata in Italia non sottolinea l’emergenza, sottovaluta il cambio di scenario. E non arriva alla presidenza del Consiglio.
Ma è sul campo che il pasticcio inglese produce gli effetti peggiori. Grazie al Gchq le forze speciali hanno accesso a tutte le comunicazioni dei sequestratori. Senza gli occhi dell’MI6 sul terreno non hanno idea di come sia strutturato l’obbiettivo. Non sanno quanti uomini armati vi siano dentro la casa, non sanno in quale stanza si trovino gli ostaggi e quante guardie abbiamo attorno.

Lanciano un attacco alla cieca e mettono a segno uno dei più imbarazzanti fiaschi nella storia dei blitz per la liberazione di ostaggi. Ma oltre all’uccisione degli ostaggi Roma a Londra piangono insieme anche la scomparsa del vecchio, ma insostituibile «fattore umano».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica