Medici Senza Frontiere abbandona la Somalia: "Rischi insostenibili"

L'organizzazione umanitaria chiude tutti i progetti nel Paese dopo 22 anni: "A pagare saranno soprattutto i civili"

Sono passati ventidue anni da quando Medici Senza Frontiere ha messo piede in Somalia. Più di due decenni in cui l'organizzazione umanitaria ha lavorato nel Paese, mettendo in piedi una serie di programmi sanitari, che da oggi non esisteranno più.

Il compito non facile assunto nel 1991 dai medici è stato portato avanti in una situazione complicata, in collaborazione con tutti gli operatori regionali e non di rado tra pericoli notevoli. Nel corso degli anni gli operatori di Medici Senza Frontiere sono stati più volte attaccati dai gruppi armati, in un contesto in cui le autorità civili non hanno sempre agito in loro difesa, per impotenza o complicità.

L'incidente più recente e grave è avvenuto a dicembre 2011, quando due operatori sono stati uccisi nella capitale somala, Mogadiscio. Un duplice omicidio per cui il responsabile ha pagato soltanto in parte, aiutato da una liberazione anticipata. Il mese scorso sono stati poi liberati dui membri del personale di Msf, tenuti sotto sequestro per 21 mesi.

Sono in totale quattordici i membri di Msf ad avere perso la vita in ventidue anni. Decine gli attacchi contro il personale e le strutture mediche dopo l'organizzazione opera. Una serie di rischi che hanno costretto i medici ad arruolare delle guardie armate, una misura estrema mai adottata negli altri Stati dove operano.

Unni Karunakara, presidente dell'associazione, ha sottolineato il suo rammarico nel dover abbandonare la Somalia: "In ultima analisi - ha detto - i civili in Somalia pagheranno il costo più alto". "In un contesto in cui si riceve già molto meno aiuto di

538em;">quanto sia necessario, i gruppi armati, prendendo di mira gli aiuti umanitari, e le autorità civili tollerando questi abusi, hanno effettivamente portato via quel poco di accesso alle cure mediche che era a disposizione della popolazione somala".

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