Nigeria, prima la trattativa poi l’attacco improvvisato

Gli inglesi si aspettavano la resa dei rapitori, che invece stavano per "vendere" gli ostaggi ai Boko Haram

Nigeria, prima la trattativa poi l’attacco improvvisato

Il nostro governo non s’attendeva un blitz, ma un’operazione a metà tra la trattativa e il braccio di ferro. I servizi segreti britannici durante i contatti con quelli italiani prospettavano un’operazione facilitata dal tradimento o dalla disponibilità alla resa dei rapitori. «Tutto è invece degenerato – spiega al Giornale una fonte d’intelligence - l’intervento è diventato una battaglia. Non è stata un’operazione pianificata, ma dettata dagli eventi». Una valutazione condivisa dal generale Luciano Piacentini, ex comandante del Nono Reggimento Col Moschin, uno dei reparti delle forze speciali italiane: «Un blitz efficace si basa sulla sorpresa, dura non più di 40 secondi e termina con la messa in salvo degli ostaggi e l’eliminazione dei sequestratori. Qui, tutto sembra essere andato all’opposto».

Dunque cos’è successo a Sokoto, e cosa ci hanno nascosto gli inglesi? Tutto inizia nello Stato nigeriano del Kaduna martedì 6 marzo, quando le forze governative smantellano una base dei Boko Haram, il gruppo fondamentalista legato ad Al Qaida che terrorizza il nord del Paese. Le indicazioni fornite da un militante catturato portano al covo alla periferia di Sokoto dove sono tenuti prigionieri Franco Lamolinara e Christopher McManus. Le 48 ore successive sono segnate dalle trattative tra inglesi e nigeriani, che pretendono ovviamente di partecipare anche alle fasi successive. Presso l’ambasciata britannica di Lagos è già al lavoro da almeno due settimane una squadra dello Special Boat Service (l’equivalente delle Seals americane e dei nostri incursori di marina del Comsubin) appoggiata da una trentina di uomini dei Royal Marines. Dal Gchq, la struttura dell’intelligence britannica responsabile delle comunicazioni, arrivano le intercettazioni dei cellulari dei rapitori e le immagini via satellite del covo. Al Cobra, il coordinamento tra intelligence, governo e forze armate britanniche, si decide il da farsi. Nessuno però prevede un intervento così immediato. Secondo l’intelligence di Lagos il gruppo dei rapitori non è organico ai Boko Haram e ha al suo interno un anello debole pronto a fornire informazioni e convincere gli altri alla resa. Dunque si pensa di poter arrivare sull’obbiettivo senza colpo ferire. Quest’impostazione viene comunicata anche ai servizi segreti italiani. Ma la notte tra mercoledì e giovedì notte quell’ipotesi si rivela irrealizzabile.

Stando alle intercettazioni la fazione più oltranzista della banda è pronta a disfarsi degli ostaggi eliminandoli o consegnandoli ai Boko Haram. Giovedì mattina il direttore delle Forze Speciali inglesi, buon amico di Cameron, riceve da Lagos un rapporto il cui senso è «ora o mai più». Qualche ora dopo gli italiani ricevono comunicazioni frammentarie in cui si preannuncia l’avvio dell’operazione, ma non si spiega il cambio di programma. Anche perché sul terreno i tempi sono strettissimi e la situazione totalmente sfavorevole. Le ore migliori per un’irruzione sono quelle precedenti l’alba quando almeno una parte dei nemici dorme. Grazie alle tenebre le forze speciali sfruttano il vantaggio dei visori notturni e riducono al massimo il rischio di un coinvolgimento di civili.

L’unità dello Special Boat si ritrova invece a intervenire a metà mattina facendosi seguire da un consistente gruppo di forze nigeriane assai meno abili nel muoversi con discrezione. Svanisce così - nota Piacentini - quell’elemento sorpresa «fondamentale per il successo di un blitz». Una volta sull’obbiettivo i commandos inglesi fronteggiano un’accanita resistenza. Come dimostrano le immagini trasmesse a Londra da un ricognitore in volo sull’obbiettivo i commandos perdono minuti preziosi prima di riuscire a uccidere i due terroristi all’ingresso e non riescono a penetrare nella stanza sul retro dove son tenuti gli ostaggi.

«Se è andata così il fallimento era quasi inevitabile, un blitz del genere - spiega Piacentini - non può durare più di quaranta secondi». Quindi, nei primi interminabili minuti di sparatoria si decide la sorte di Franco Lamolinara e Christopher McManus, freddati dai carcerieri. E il totale fallimento del raid inglese.

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