Mera coincidenza, gran culo o soffiata straordinaria? Una delle tre, non si scappa. Undici anni fa, l'11 settembre 2001, la Storia virava bruscamente insieme agli aerei dirottati dai terroristi per schiantarsi contro le Torri Gemelle. Dodici mesi addietro, Osama Bin Laden veniva freddato in un blitz delle teste di cuoio Usa in Pakistan e sepolto in mare nel più assoluto segreto. Oggi il Dipartimento di Stato americano e il ministero dell'Interno sono stati citati in giudizio davanti al tribunale di Roma chi, prima nel 2003, e poi direttamente alla Cia nel 2010 (otto mesi prima del blitz dei Neavy Seals) fornì una notizia che si rivelerà esplosiva perché indicava il rifugio segreto dove il capo di Al Qaeda troverà poi la morte. Una spiata che venne evidentemente sottovaluta (insabbiata o utilizzata) e sulla quale ora la scrittrice ciociara Mary Pace, a caccia della taglia di 25 milioni sulla testa di Bin Laden, vuole che si faccia chiarezza. La signora in questione è un personaggio che da un paio di decenni si occupa di intelligence e terrorismo internazionale ai massimi livelli. Un personaggio uscito dai romanzi di John Le Carrè: giovanissima infiltrata del generale Giovanni De Lorenzo (quello del piano Solo, per intenderci) nelle fila del Pci, custodisce da anni i segreti esplosivi di Guido Giannettini, l'ex superspia del Sid (il servizio segreto degli anni Settanta) già inquisito e assolto per la strage di piazza Fontana. Ques'ultimo, poco prima di morire, le avrebbe rivelato il luogo esatto dove si nascondeva, a suo dire, l'uomo più braccato del mondo. La confidenza puntava a una riserva di caccia di circa trenta chilometri quadrati compresa tra le factories pakistane di Wah, Gadwal, Sanjval e Havelian, quest'ultima nel distretto di Abbottabad. Una soffiata millimetrica (se si considera che il Pakistan è grande quattro volte l'Italia) che Pace passò il 20 agosto 2003 a due ispettori della Digos di Frosinone che, a loro volta, girarono all'Ucigos a Roma. Da allora, di quella soffiata, non se ne è più saputo nulla, nessuno ha sentito il bisogno di approfondire se quel che diceva una donna notoriamente ben inserita negli ambienti dell'intelligence fosse una panzana o un'imbeccata precisa. Mary Pace, in un esposto alla magistratura, e nel successivo atto di citazione stilato dal suo avvocato Carlo Taormina, non avanza ipotesi, ma adombra «eventuali responsabilità penali di tipo omissivo». Ci sarebbe qualcuno che si è preso la responsabilità di non avvisare gli americani di quella pista, e se sì chi è? Oppure, la notizia è stata data alla Cia? Se sì, quando? A chi?
Anno dopo anno, di fronte al silenzio e alle porte chiuse, la giornalista apprende da propri canali che l'informativa è nel frattempo atterrata al Viminale. Così nel 2007 prende e scrive un pezzo per il settimanale «Il Borghese» rendendo pubblica la storia riferita alla Digos quattro anni prima, aggiungendo che Osama Bin Laden sarebbe protetto dagli 007 pakistani. Riscontrando indifferenza e ostilità, la Pace riesce a mettersi in contatto con la Cia sono nell'estate del 2010. A luglio un «referente» del centro di Langley si mette in contatto con la signora via posta elettronica e cellulare (tutto il materiale è agli atti). Dopo un'iniziale indifferenza lo 007 sembra parecchio interessato tanto che gli articoli e le analisi della Pace vengono descritti come «impressionanti». L'agente yankee le chiede le credenziali («dove lavora, che cosa ha scritto sul terrorismo») e le fa la più classica delle domande nell'oscuro mondo degli spioni: «Che cosa ci puoi dire che noi non sappiamo già?». Mary Pace spiega. Seguono altre mail (il 17 e il 26 luglio) per un ulteriore scambio di informazioni. A ottobre di quello stesso anno, le comunicazioni con la Central Intelligence Agency si interrompono. Gli 007 spengono improvvisamente il pc e attaccano la cornetta. Il 2 maggio 2011, otto mesi dopo l'ultimo colloquio tra la Cia e Mary Pace, il presidente Obama annuncia il blitz delle forze speciali Usa in una villetta di Abbottabad (nel distretto di Havelian, nel triangolo sensibile indicato dalla giornalista nella sua informativa alla Digos nel 2003). Passano poche ore e il portavoce della Casa Bianca si affretta a dichiarare che la maxi-taglia da 25 milioni di dollari non sarà pagata a nessuno, perché non ci sono informatori dietro l'operazione. Curiosamente, il segretario alla Difesa Leon Panetta, ex direttore della Cia, lo smentisce e ammette che una «gola profonda» in questa storia c'è: un medico pakistano che avrebbe venduto la tana del lupo agli americani. «E le mie indicazioni, allora?» si chiede la giornalista. Parte così l'attacco giudiziario: l'avvocato Taormina cita in giudizio il Dipartimento di Stato Usa e il Viminale, rivendicando il diritto alla stratosferica taglia per la sua cliente. In contemporanea, negli Usa esce il libro «No easy day» con la versione ufficiale sull'assalto dei Navy Seals al compound scritto da un'ex testa di cuoio che racconta di aver sparato a Osama Bin Laden senza riconoscerlo e di averlo inchiodato a terra con una sventagliata di mitra.
In una casa affollata di poliziotti e carabinieri la misteriosa Mary Pace non ha voglia di scherzare. Sarà stata una coincidenza, avrà tirato anche a indovinare, ma l'aver trovato l'ago nel pagliaio pakistano con sette anni d'anticipo l'autorizza a provare a battere cassa.(ha collaborato Simone Di Meo)
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