Euroburocrati come vampiri: se ne fregano della crisi e ora pretendono l’aumento

Insoddisfatti dell’adeguamento salariale, minacciano di trascinare davanti alla Corte di giustizia i Paesi membri. Pure "l'ambasciatrice" Ashton bussa a soldi e ottiene 26 milioni

Euroburocrati come vampiri:  se ne fregano della crisi  e ora pretendono l’aumento

L’Unione Europea vacilla, l’Eu­ro è sull’orlo del tracollo e le agen­zie di rating fanno a gara nel bac­chettarci, ma a Bruxelles nessuno ci fa caso. Politici, burocrati e fun­zionari dell’Unione continuano a scialare le poche risorse rimaste. Per capirlo basta esaminare due surreali contese. La prima riguar­da i salari, non propriamente da fa­me dei circa 50mila funzionari di Bruxelles. Per tutti questi euro- bu­rocrati la Commissione, ovvero il governo dell’Unione e il loro dato­re di lavoro, esige un aumento. E minaccia di rivolgersi alla Corte di Giustizia se i paesi membri non ac­condiscenderanno all’esosa ri­chiesta. La seconda riguarda il co­s­iddetto Servizio Europeo di Azio­ne Esterna. Nel 2012 i costi di ge­stione di questa rete di rappresen­tanze diplomatiche europee, sfo­reranno di 26 milioni il già astrono­mico budget da 461 milioni di eu­ro.

Cominciamo dagli euro boiar­di. Le loro buste paga non sembra­no proprio quelle d’una categoria di lavoratori sottopagati. I loro st­i­pendi partono dai 2300 euro di un laureato neo-assunto per arrivare ai 16 mila euro mensili dei funzio­nari di massimo livello con più di 4 anni di anzianità. Ma la vera dif­ferenza sta nel livello d’imposizio­ne fiscale. A differenza dei comu­ni mortali gli euro boiardi di Bru­xelles non fanno i conti con gli uffi­ci fiscali dei paesi d’appartenen­za, ma solo con quelli assai più in­dulgenti dell’Unione Europea. Chi a Bruxelles incassa 10 mila eu­ro al mese se la cava versando alla Ue poco più di 1200 euro. Nono­stante quest’indubbio vantaggio gli euro-boiardi sono in perenne agitazione. L’ultimo privilegio da difendere a tutti i costi,è l’indenni­tà sul costo della vita. L’anno scor­so si erano visti proporre un au­mento dell’1,7% calcolato sulla base dell’inflazione registrata nel­la capitale belga. Quell’aumento, inferiore a quanto previsto origi­nariamente nel contratto euro­peo, era stato concordato sulla ba­s­e della difficile situazione econo­mica. Quest’anno, visto il peggio­rare dei bilanci, il Consiglio dei 27 paesi membri ha chiesto di annul­lare anche quell’1,7%. Apriti cie­lo.

Da novembre i 50mila euro-bu­rocrati sono sul piede di guerra. A sentir loro l’1,7% deciso in prece­denza era solo un compromesso visto che a Bruxelles l’inflazione galoppa su valori superiori al 3 per cento. Ma l’aspetto più surreale della contesa è l’atteggiamento della Commissione, ovvero del da­t­ore di lavoro dei funzionari di Bru­xelles.

Invece di comportarsi da as­sennato e oculato amministrato­re il governo europeo veste i panni di sfegatato sindacalista e minac­cia di trascinare davanti alla corte di Giustizia i paesi contrari agli aumenti. «La Commissione Euro­pea ha deciso di portare il Consi­glio degli Stati davanti alla Corte di Giustizia per il suo rifiuto di adottare il regolamento sull’ag­giustamento annuale riguardan­te­i salari e le pensioni del persona­le europeo» – recita un comunica­to dello scorso 11 gennaio. Non pa­ga di bruciare i 130 miliardi di Eu­ro introitati annualmente grazie alle tasse dei propri cittadini la Commissione sembra decisa, in­somma, a fare il possibile per au­mentare le spese. Dietro alla mi­naccia di rivolgersi alla Corte di Giustizia si nasconde l’ombra di un altro imminente salasso. Nonostante la difficile situazione eco­nomica e l’incertezza sul destino della moneta europea la Corte di Giustizia potrebbe dare ragione alla Commissione e ai suoi boiar­di mettendo a dura prova i conti della Ue. Il ricorso della Commis­sione si fonda sull’articolo 263 del Trattato Ue che, come sottolinea la puntigliosa Commissione,è sta­to approvato dal Consiglio d’Euro­pa ovvero dall’organo di rappre­sentanza dei 27 paesi membri. Quel regolamento determina le percentuali d’incremento delle remunerazioni mediante un com­plesso sistema d’ indicizzazione basato sugli stipendi dei funziona­ri pubblici in otto Stati membri e sull’aumento del costo della vita in quel di Bruxelles. Secondo la Commissione non esistono mar­gini proporre ai dipendenti una percentuale di aumento diversa da quella calcolata in base ai parametri elencati nell’articolo 263. Dunque a norma di legge i boiardi a cinque stelle potrebbero spun­tarla. A quel punto rischieremmo di pagare non solo gli aumenti, ma anche gli interessi. Del resto in Europa Pantalone paga sempre e comunque. L’inefficiente diplo­mazia europea guidata dalla baro­nessa inglese Lady Ashton ne è la prova.

A dicembre un documento riservato firmato da 12 paesi, tra cui l’Italia,aveva severamente cri­ticato la pessima gestione dell’or­ganismo affidato alla baronessa. Lei ha spiegato che con 461 milio­ni di euro era difficile far di meglio e l’Unione gliene ha subito messo a disposizione altri ventisei.

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