Il figlio nelle nuove Br, il padre fondò le vecchie

RomaCome riprendere la lotta armata senza farsi scoprire dalla polizia, imparando a criptare le telefonate per fissare incontri strategici e a non farsi «tracciare» in rete. Un vero e proprio codice di condotta consigliato ai «militanti rivoluzionari». Era nel computer di Costantino Virgilio, arrestato ieri mattina a Milano assieme a Manolo Morlacchi con l’accusa di partecipazione a banda armata dalla Digos della capitale.
L’inchiesta è la stessa che lo scorso giugno portò all’arresto, tra Roma e Genova, di sei persone, tuttora detenute, sospettate di far parte della formazione «Per il comunismo Brigate Rosse», un gruppo eversivo di matrice marxista-leninista che nel 2006 rivendicò il fallito attentato alla caserma dei paracadutisti «Vannucci» di Livorno e che a luglio progettava un attentato alla Maddalena in occasione del G8, prima che venisse spostato all’Aquila. Tra loro anche l’ex br Luigi Fallico, che stava riannodando le fila dell’organizzazione. La scorsa estate Virgilio e Morlacchi, entrambi dipendenti di un’agenzia di gestione archivi, furono soltanto indagati, ma nelle loro abitazioni vennero sequestrati documenti e computer. Ed è proprio dagli accertamenti telematici che sono emersi contatti telefonici in codice da cui risulterebbe la prova del collegamento diretto tra i due e i terroristi finiti in manette a giugno, in particolare con Riccardo Porcile, al quale venne sequestrato un vero e proprio arsenale. L’esito di queste indagini ha convinto il pool antiterrorismo della Procura di Roma diretto dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti a chiedere al gip Maurizio Caivano l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare. Finisce così in carcere anche Manolo Morlacchi, figlio Heidi Peusch, di origine tedesca e di Pierino Morlacchi, che fu tra i fondatori delle Br, insieme a Renato Curcio. Anche il fratello di Manolo, Ernesto è indagato nella stessa inchiesta. Un’infanzia passata a visitare i genitori nelle carceri speciali, quella di Morlacchi, così come racconta lui stesso nel libro «La fuga in avanti», nel quale ricostruisce la storia della sua famiglia, la saga di tre generazioni legate al filo rosso del comunismo.
Il progetto politico dell’organizzazione era quello di ereditare, sviluppandolo con nuove analisi, il testamento delle vecchie Brigate rosse. «Questa formazione - spiega il dirigente della Digos di Roma Lamberto Giannini - a livello di vertice si era proposta alle Br di Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi per fare la lotta armata all’epoca». Il gip Caivano ritiene che Virgilio e Manolo facciano parte dell’associazione «Per il Comunismo Brigate Rosse» con cui «proseguivano e perseguivano il programma criminoso originariamente proprio delle Br, rialanciato dal Partito Comunista Combattente guidato da Galesi e Lioce, ricalibrandolo ai cambiamenti storici, politici ed economici». Dall’ordinanza di custodia cautelare emerge che il giudice ha rigettato la richiesta di arresto nei confronti di Francesco Paladino e Maurizio Calia, altri due indagati nell’inchiesta romana. Nel documento si legge inoltre che esisteva un programma diretto «a rilanciare la lotta armata sul territorio nazionale mediante l’esecuzione di attentati selettivi e obiettivi qualificati dell’imperialismo, quali beni immobili dello Stato (...) e di enti sopranazionali».


«Un’operazione di enorme importanza», l’ha definita il capo della polizia Antonio Manganelli. «Dimostra che l’attenzione delle forze dell’ordine nei confronti del terrorismo brigatista è massima», è il commento del ministro dell’Interno Roberto Maroni.

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