La fortezza dei veti che ora spaventa i democratici

Leggendo le dichiarazioni di molti tra i principali leader del Pd, da Pierluigi Bersani a Enrico Letta, da Massimo D’Alema a Francesco Rutelli, non si può non cogliere un’evidente presa di distanze dalla Cgil sulla vicenda Alitalia. Nei dirigenti della sinistra con ancora un po’ di testa sulle spalle, appare chiaro come l’atteggiamento insensato di Guglielmo Epifani (firmo, non firmo; mi faccio dettare la linea dai piloti) finisce per trascinare in un baratro tutta l’opposizione parlamentare. Non servirà a niente avere eletto Massimo Calearo, Matteo Colaninno, Pietro Ichino, se poi ci si schiaccerà sulle posizioni irresolute di Epifani e sui folli che festeggiano il fallimento della loro azienda. Che il problema del sindacato sia cruciale per la sinistra, è evidente.

Tony Blair vinse le elezioni solo quando mise al loro posto le Trade union, Gerhard Schroeder è riuscito a fare qualche buona riforma solo quando ha rotto con l’ala estremista dei sindacati tedeschi (che in compenso sostenne la scissione di Oskar Lafontaine con successivo incontro con gli eredi della Germania comunista). Lionel Jospin ha perso brutalmente le presidenziali perché si arrese ai sindacati e fece la scellerata legge sulle 35 ore. In Italia la Cgil, che pure aveva nella sua storia «comunista» una certa dose di pragmatismo e si è assunta all'inizio degli anni Novanta con il primo Sergio Cofferati alcune responsabilità, è oggi il centro del conservatorismo economico-sociale, il tutto peggiorato dalla fragilità della leadership. Pesa innanzi tutto la sua impostazione centralistica e politicizzata, che viene dalla concezione stessa classista del sindacato cioè non un’organizzazione che difende interessi e iscritti ma un movimento che si contrappone alla classe borghese.

Questa ideologia fa parte dell’identità della confederazione e ne sostiene il sistema di potere, la nomenklatura. Man mano che i lavoratori si sentono meno «classe» e più persone a cui conviene e interessa collaborare con chi guida le aziende in cui sono occupati, la Confederazione generale italiana del lavoro entra in sofferenza. Tallonata da chi sostiene posizioni estremiste come la Fiom (i metalmeccanici) e appoggiandosi su chi ha un potere di ricatto sui pubblici servizi e su questo costruisce un peso politico. Certo vi sono spinte riformiste, nei chimici, nei tessili, negli edili e così via, ma sono intrappolate in una logica infernale, resa ancora più costrittiva dalla debolezza della segreteria epifaniana: costruita così da Cofferati per mantenere la propria influenza, finita in fumo ma non senza generare nuovi guasti. D’Alema che astrattamente coglie i problemi prima degli altri, aveva tentato da segretario del Pds, poi da presidente del Consiglio, di intervenire. Ma come al solito aveva esagerato negli intrighi, scavalcando Cofferati nei rapporti con Sergio D’Antoni e facendo impazzire il segretario della Cgil, che non tornò in sé per lunghi anni. Tra le difficoltà che incontrò D’Alema vi fu anche l’opportunismo di Walter Veltroni che in un congresso dei Ds, quando era già sindaco di Roma, appoggiò la sinistra del partito alleata a Cofferati contro Fassino e D’Alema.

Non sorprende, dunque, che anche oggi per tatticismo Veltroni faccia da sponda ai giochetti di Epifani.

Come ha compreso bene la società italiana, lo spazio per questi giochetti è terminato. E chi può fare qualcosa dentro e fuori la Cgil per impedire che questa procuri ulteriori guai al nostro Paese, ha poco tempo per agire.

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