Fortune maledette Nelle mani di Aisha

I più disperati sono i custodi legali delle sue fortune. I più felici gli oscuri protettori di quelle occulte. Parliamo ovviamente dei soldi del defunto Colonnello. Di una fortuna costituita non solo dai circa 65 miliardi di Euro attualmente congelati in Europa e Stati Uniti, ma anche un patrimonio segreto e disperso il cui ammontare oscilla tra i 120 e i 200 miliardi di dollari. Secondo le indagini finanziarie citate ieri dal Los Angeles Times gli emissari del Colonnello sono riusciti a far sparire, in barba alle sanzioni Onu, capitali per quasi 200 miliardi di dollari.
Per mobilitarli sono stati usati prestanomi con generalità sconosciute, non inserite nelle risoluzioni Onu. Un ruolo di primo piano in questi traffici l’ha giocato una testa di legno mossa da Aisha Gheddafi, la bella figlia avvocato rifugiatasi in Algeria. I 200 miliardi di fondi neri sulle cui tracce si muovono gli 007 finanziari di tutto il mondo sono stati disseminati su conti indiani, russi, cinesi e probabilmente algerini. Aisha, la madre e il resto dei sopravvissuti sparsi tra Niger e Algeria non hanno però molte speranze di recuperarli senza venir intercettati dalle autorità internazionale. E così oggi molte anonime teste di legno brindano all’inaspettata fortuna piovutagli addosso con la deposizione e la morte del rais. Molti custodi legali delle fortune del rais piangono invece calde lacrime per il timore di venir costretti a restituire quei patrimoni.
Pensate alla Caixa Geral de Depósitos e ai suoi disgraziati correntisti portoghesi. Muhammar Gheddafi nel 2010 ci trasferisce un miliardo e 200 mila euro in contanti. Sono soldi prelevati dai conti correnti della Svizzera, dopo l’arresto del figlio Hannibal e di sua moglie sorpresi a riempire di botte una coppia di domestici. Quei soldi equivalgono al 2 per cento dei depositi dell’istituto. Ma non solo. Secondo il quotidiano Diario Economico, la Lia - Libyan Investment Authority, l’agenzia d’investimenti libici – controllava anche obbligazioni della stessa banca per decine di milioni di euro. In pratica se le nuove autorità libiche potessero andare all’incasso liquidando le obbligazioni e chiudendo i conti la Caix General de Depositos lascerebbe a secco i suoi risparmiatori e si ritroverebbe costretta a dichiarar bancarotta.
Noi italiani conosciamo bene i brividi dei portoghesi perchè ci ritroviamo a nostra volta alle prese con beni libici congelati per circa 7 miliardi di euro. Tra quei beni vi sono i circa 2 miliardi di euro in azioni, depositi e fondi della Unicredit e altri 5 miliardi costituititi da partecipazioni in Mediobanca, Finmeccanica, Eni, Ratelit, Juventus e Fiat. Dover riconsegnare all’istante quelle cifre ad un’istituzione libica legittimata ad incassarle equivarrebbe ad un mezzo disastro finanziario. Le grandi banche internazionali non se la passano meglio. Secondo le stime di Global Witness la Lia faceva girare investimenti per oltre 4 miliardi di dollari sui fondi dei francesi di Societè Generale (1 miliardo,) di JP Morgan e di altre grandi banche d’affari. Senza contare i miliardi di dollari in azioni di società strategiche come General Electric Bp, Vivendi e Deutsche Telecom. A questi vanno aggiunti il miliardo di dollari depositati tra il giugno e il settembre 2010 sui conti della banca britannica Hbsc per un saldo complessivo di 1,42 miliardi di dollari. Senza tener conto di 2,9 miliardi di dollari scomparsi su un conto Hbsc mai identificato.
Queste immense fortune rappresentano oggi un’autentica maledizione perché nessuno può sognarsi di riconsegnarle alle nuove autorità libiche senza veder compromessa la propria stabilità finanziaria.

I primi a saperlo sono gli americani che nonostante le dichiarazioni di amorosi intenti nei confronti del Consiglio di Transizione libico hanno per ora riconsegnato soltanto 800 milioni dei circa 37 miliardi di dollari congelati nelle banche americane.

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