«Vieni a fare una presentazione del tuo nuovo libro su Clubhouse?» mi domanda Gianmarco Aimi. Clubhouse non sapevo neppure cosa fosse, ora lo so, è una merda. Non nomino amici cosiddetti vip perché sono amici, ma una tristezza, soprattutto quelli di una certa età che vogliono fare i moderni e si ritrovano in gruppetti scelti per raccontargli le glorie passate, parlare di astrologia, di cucina, autocelebrarsi in salottini privé con la parola concessa per alzata di mano che ti viene una depressione.
I non vip invece sembrano una riunione di alcolisti anonimi, o meglio di logorroici anonimi: «Dài dicci chi sei, cosa fai, ecc». «Mi chiamo Lucia, ho ventisei anni, mi piace disegnare». Tutti parlano di tutto senza sapere niente, per parlare di se stessi, cioè di meno di niente. Insomma, siccome la richiesta veniva da Aimi, un giornalista così intelligente e bravo di Rolling Stones e MowMag a cui non dico mai di no, e siccome il libro mio e di Giorgio Vallortigara si intitola Lettere dalla fine del mondo (La nave di Teseo), ho pensato che non sarebbe stata la fine del mondo, e ho detto sì.
In realtà l'incontro viene benissimo, la room si chiama Cinzano Ferguson e l'ha creata Morgan e va avanti da mesi e a differenza dei vip da ospizio virtuale dialogo con molte persone intelligenti, Jacopo Riccardi, Gianfranco Bruce Battaglia e molti altri, e Morgan non viene, ancora meglio, ma non è questo il punto, vi devo spiegare prima come funziona Clubhouse.
In sostanza si crea una room, cioè una stanza, e se è pubblica chi vi segue può entrare e chiedere di parlare, alzando una manina virtuale. In Clubhouse infatti si parla solo, non c'è video, non c'è testo, è la versione aggiornata dei vecchi baracchini con una concezione elitaria, almeno nelle intenzioni. Così, poiché ormai mi ero iscritto, decido di fare un esperimento, e apro una room io, ma non controllata, come quella di Aimi. A chiunque entri do la parola e il potere di moderatore. Potere al popolo, insomma.
In men che non si dica succede un casino, un altro esempio dei danni che il politicamente corretto sta facendo sulle persone. Tanto per cominciare, mentre parlavo, iniziano a dirmi che non devo usare la parola con la N e neppure la parola che la F e neppure la parola con la T, credevo fossero le parole crociate. Cerco di spiegargli che non bisogna avere paura delle parole, perché altrimenti si rischia l'effetto opposto, la cancel culture, o come con i bambini quando dici di non dire le parolacce.
Nel frattempo abbandono la mia stessa stanza, che è diventata un processo di Norimberga, e vado a farmi un giro nelle stanze che trovo, a caso, chiedendo la parola, e chiedendo cosa pensano loro della questione del non dire negro e frocio, e vengo immediatamente anche qui etichettato come razzista e omofobo, stavolta da cinque cinesi italiane lesbiche. La cosa esilarante è che tutti, rigorosamente tutti, dicono: «Non dire la parola con la N», o «Non dire la parola con la F». In mezzora c'è un tam tam di beduini tra una room e l'altra (beduino non si potrà dire, immagino, sarà la parola con la B) e tutti accorrono a insultarmi.
Così vado in giro in room a caso e mi metto a cantare Colpa d'Alfredo di Vasco Rossi, «è andata a letto con il negro, la troia!», e tutti a dire «Non dire la parola con la T!». Ma soprattutto ci restano malissimo quando, mentre mi spiegano che dire frocio è essere omofobi («dovresti esserlo, prima di dire la parola con la F»), gli rispondo che io sono mezzo frocio, mentre tutti loro sono etero, quindi hanno proprio sbagliato bersaglio, il che li manda in tilt per qualche secondo.
Nel frattempo mi avvisano che nella stanza creata da me sono tutti contro il succitato Jacopo, ancora lì per spiegare qualcosa alla folla scandalizzata dalla mia N. e dalla mia F. Torno lì, nella mia stanza, ma il bello è che io non posso parlare, non ho più potere, perché avevo dato a tutti il potere di essere moderatori e nessuno mi fa più «salire» (si dice così in continuazione, far salire qualcuno a parlare), in pratica un colpo di Stato, del mio staterello, a quel punto glielo lascio e chi s'è visto s'è visto.
Infine Jacopo apre una nuova stanza, con me e pochi amici, tra cui la scienziata Giulia Bignami, che nel frattempo prendendo le mie difese era diventata non solo razzista, omofoba e sessista ma anche vittima della cultura patriarcale. Tra l'altro uno di questi macachi si era documentato un attimo su Google e aveva visto che Giulia Bignami ha iniziato a collaborare con il Giornale, quindi è pure fascista, le dicono. Solo che Jacopo questa stanza la crea chiusa, per parlare solo con noi, ma io gli dico di aprirla, voglio vedere se i macachi tornano, e poi che senso ha stare su Clubhouse, un social, se lo usi come una chiamata di gruppo di Whatsapp? Infine arriva pure Morgan, al quale qualcuno ha detto qualcosa su di me e si mette a impartirmi una lezione sul fatto che «l'arte è femminile e è gentilezza» (eh?), gli domando se è appena tornato da un corso di uncinetto, lui mi risponde che non so chi è lui, io gli dico che lui non avrebbe mai i mezzi per capire chi sono io, dovrebbe studiare troppo.
Ho passato giorni e giorni a cercare di farmi cancellare da Clubhouse, perché l'unica opzione fino a due settimane fa era scrivere al centro di assistenza.
Ho provato a farmi bannare cambiando il mio nome in Donald Trump e mettendo come foto del profilo una foto della Murgia. Finalmente hanno aggiunto un'opzione per disiscriversi, e via, non ci sono più. Questo per dirvi: perdete ogni speranza voi che entrate, perché chi c'è dentro non ne ha nessuna di avere un cervello.
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