nostro inviato a Trieste
Passi felpati e determinazione. Come sempre. Sono le armi giapponesi per l'appuntamento del G8 Esteri - che si apre quest'oggi nella città giuliana - e per quello dell'Aquila, a luglio. Il premier Taro Aso, e il ministro degli Esteri Hirofumi Nakasone, non sono tipi da mettersi in vetrina, ma conoscono alla perfezione i risultati che Tokio si aspetta e si sono preparati alla missione italiana affiancando puntiglio e mano tesa, specie nei confronti di Roma, con offerte di interventi mirati proprio per il capoluogo abruzzese, sconvolto dal terremoto che anche nel Sol Levante conoscono bene ma che ritengono oggi di poter prevedere e prevenire con possibilità di successo. «È vero, pensiamo di poter fare qualcosa - rivela l'ambasciatore giapponese a Roma Hiroyasu Ando, che funge da battistrada all'arrivo dei due esponenti del governo di Tokio - e infatti sono stato all'Aquila dove ho parlato a lungo con Bertolaso e col sindaco. Vogliamo fare qualcosa, anche perché abbiamo vissuto con grande intensità il dolore di quella gente. Ma non mi faccia dire di più. Diciamo che stiamo studiando il da farsi e che loro mi sono parsi molto interessati alle misure antisismiche che adottiamo nel nostro paese».
Ambasciatore Ando, come arriva il Giappone al vertice 2009? Quali le sue maggiori preoccupazioni e le sue richieste?
«Naturalmente il nostro principale obiettivo è quello di trovare una linea coordinata per uscire dalla crisi economica, e in questo quadro chiediamo di combattere decisamente il protezionismo che si torna a intravedere. Ma riteniamo importantissimo anche far passi avanti sul terreno ambientale, in modo da preparare al meglio la conferenza di fine anno a Copenaghen che blocchi il surriscaldamento del pianeta. Terzo tema, ma non per importanza, i conflitti e le minacce in parecchi teatri. C'è lo stato incandescente dell'Afpak (Afghanistan-Pakistan) che seguiamo con preoccupazione, c'è il problema del nucleare iraniano. E, ovviamente, c'è la spinosa questione degli esperimenti missilistici e atomici della Corea del Nord: una minaccia autentica per il Giappone, per l'Asia e per l'intero mondo. Crediamo si debba reagire con molta fermezza a quel che sta facendo il governo di Pyongyang».
Che intende dire con maggior fermezza?
«Che qualora i coreani del nord dovessero proseguire nei loro esperimenti, il Giappone è pronto ad applicare, e a chiedere ad altri Paesi di seguirlo su questa strada, misure ben più serie di quelle già sanzionate dall'Onu. Ma noi speriamo che si guardino bene dal mettersi a rischio. Vogliamo credere che a Pyongyang evitino di lanciare una sfida all'intera comunità internazionale».
C'è un particolare legame tra Roma e Tokio, che però lei lamenta essere a senso unico. Ce lo spiega?
«Grandezza dei due Paesi e reddito annuo di italiani e giapponesi sono molto vicini. Analoghe la lunga storia e la sopravvivenza delle tradizioni. Lo sa che la bandiera estera più venduta da noi è quella italiana? Ci piacciono quelle che in Giappone sono definite le 4 F dell'Italia: food, fashion, Ferrari e football. Ma se è vero che nella penisola arrivano 1 milione di giapponesi l'anno, è purtroppo vero anche che gli italiani in Giappone non superano i 50mila. Sì, da voi conoscono i nostri prodotti industriali, auto, tv, stereo, ma non i nostri costumi, il nostro modo di pensare, le nostre bellezze. È per questo che mi spendo per organizzare occasioni di incontri come accadrà a Roma fra il 7 e il 13 luglio presentando film, cultura pop e cibo giapponese».
Ipotesi di nuove forme di collaborazione?
«Un nostro ministro ha incontrato recentemente Scajola per discutere della ripresa del nucleare, di cui abbiamo esperienza specie nella sicurezza. Ma altro è in cantiere e magari se ne discuterà durante la visita ufficiale che Napolitano farà a settembre in Giappone».
E a lei, ambasciatore Ando, piace l'Italia o nel suo breve soggiorno (è arrivato a ottobre scorso; ndr) ci ha già trovato dei difetti?
«Guardi, credo di essere uno degli uomini più invidiati in Giappone visto il posto che mi hanno dato a Roma. Amo gli italiani, anche se... non siete molto disciplinati nel fare la fila. Le regole ci sarebbero, come in tutto il mondo, ma non le rispettate. Il che mi manda in crisi».
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