La notizia delle dimissioni forzate di Cesare Geronzi da presidente delle Generali ha fatto il giro del mondo. Molti italiani si sono stupiti di tanto clamore. L'uomo è in effetti sconosciuto al grande pubblico, per il quale le Generali sono delle assicurazioni come tante, un logo sul parabrezza delle auto. Ovviamente non è così. Geronzi è stato, e probabilmente è ancora (aspetterei prima di celebrarne il funerale), uno degli uomini più potenti negli ultimi trent'anni. In quanto alle Generali è la diciannovesima società per fatturato al mondo (prima compagnia assicurativa in Italia, terza in Europa). Incassa ogni anno quasi 80 miliardi di euro, con utili non di molto inferiori ai due. Per intenderci, più della Ford, il doppio di Microsoft e di Unicredit (prima banca italiana). Insomma, un vero colosso, che gestisce un patrimonio di 400 miliardi di euro, una cifra superiore al Pil del Belgio.
Si è detto, e scritto, che a fare fuori Geronzi sia stato Diego Della Valle che di Generali è consigliere di amministrazione, al grido di «fuori i vecchi, largo ai giovani ». In effetti Della Valle ha urlato molto contro Geronzi, ma non credo, con tutto rispetto verso uno dei nostri migliori imprenditori, che il padrone delle Tod's e non solo abbia tutto questo potere. In effetti lui e il suo amico Luca Montezemolo stanno scalpitando, il primo nel mondo della finanza il secondo in quello della politica, perché gli anni passano per tutti e Geronzi da una parte e Berlusconi dall'altra sono un tappo non da ridere per chi nutre grandi ambizioni personali.
Dove sta la verità? Direi che in Generali si stanno giocando due partite diverse. La prima, quella vera, è su chi e come deve gestire quella montagna di miliardi di cui sopra, e qui mi fermo per manifesta ignoranza. La seconda è di più modesto profilo e riguarda alcune cosette italiane, briciole per Generali, ma importanti per alcuni signori (tra i quali Della Valle), come ad esempio mettere le mani sulla proprietà del Corriere della Sera. Per farsene cosa? Beh, la stessa degli attuali proprietari: condizionare l'opinione pubblica, nascondere qualche peccatuccio, essere riveriti e corteggiati dal potere politico. In questo il «nuovo che avanza» ha poco di nuovo. Finanzieri e industriali hanno il vizio di volere giornali che, come noto, non producono ricchezza ma debiti.
Evidentemente Geronzi era di intralcio su entrambi i livelli. Su quello dei grandi affari aveva le sue idee, ma soprattutto era curioso di capire tre o quattro operazioni fatte di recente da Generali che il consiglio di amministrazione preferiva tenere riservate. Su quello dei piccoli affari, diciamo che non era entusiasta di consegnare il Corriere della Sera e qualche altro giochino al duo Della Valle-Montezemolo. In questo la pensa come Berlusconi, per questo dicono oggi che la sua uscita è una grande sconfitta del premier.
Può essere, ma non vedo il dramma. Il successo di Berlusconi infatti è nato contro la volontà dei poteri forti e dei salotti buoni, tra l'altro in anni nei quali il loro potere era ben più forte di oggi. Agnelli certo non lo amava, i più grandi banchieri italiani, Geronzi a parte, sono sempre stati sull'altra sponda, quella di sinistra. In quanto al Corriere, è diciotto anni che ce l'ha contro. La novità del berlusconismo è che governa chi ha i voti, non consigli di amministrazione e giornali.
È quello che ancora Della Valle non ha capito. In questo è molto, molto più vecchio di Geronzi. E poi tanta fatica per cosa? Avere il Corriere alleato in politica non porta bene. Chiedere conferma a Romano Prodi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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