Quelli che trasformano in oro i rottami di vecchi computer

Quelli che trasformano in oro i rottami di vecchi computer

Non solo il maiale: anche del computer non si butta via niente. Facciamo finta di doverci sbarazzare del nostro vecchio, ingombrante pc fisso. Quello scatolone metallico, e tutti i suoi componenti, potrebbero servire a ridare vita ad altri oggetti, grazie a rame, alluminio, nickel e stagno che si trovano nella sua pancia, senza parlare della plastica e del ferro che ne costituisce il contenitore. Nulla finisce in discarica, quindi: a patto di consegnare l'ormai ex calcolatore alle persone giuste. Per il singolo utente c'è l'isola ecologica, mentre le aziende che di computer, server e macchine elettroniche in generale ne dismettono a decine alla volta, occorre rivolgersi ad aziende specializzate.
La più grande di tutta la Liguria, in questo senso, è la Saem di Manesseno. Il titolare Emanuele Timossi, ex tecnico informatico, riceve 500 tonnellate di «rottami» tecnologici all'anno. Con i suoi sei dipendenti, si occupa di smontare pezzo per pezzo tutta la mercanzia e, dopo un lavoro certosino di divisione di schede e componenti, destina tutto agli impianti di riciclo. Dove tutto può trasformarsi, letteralmente, in oro: «Oro, argento e palladio - spiega Timossi - fanno parte in piccole quantità di alcuni chip, insieme ad altri metalli preziosi. In realtà, si può dire che all'interno di una qualunque apparecchiatura elettronica c'è quasi tutta la tavola periodica». Questione di pochi chili d'oro all'anno, ma «estrarlo e rimetterlo in circolazione è un piccolo contributo al contrasto delle guerre. Se pensiamo che in Sudamerica o in Africa ci si ammazza letteralmente per un chilo di minerale prezioso...».
Timossi, prima di scoprire la seconda vita dei microchip, era un normale tecnico informatico, mestiere che negli anni Novanta, all'epoca del grande boom dei computer, andava per la maggiore. «Dopo qualche anno mi sono ritrovato con un magazzino zeppo di pezzi di ricambio», racconta. «Al netto di quel poco che poteva servirmi ad effettuare riparazioni, dovevo liberarmi della maggior parte dei rottami. La prima navigazione in Internet della mia vita l'ho fatta per cercare una ditta che me li smaltisse. La più vicina era a Milano, in Liguria non c'era niente. È lì che ho intuito che poteva essere un buon affare». Ora il magazzino è ancor più pieno, ma è un po' come una stazione. Il materiale (composto per la maggior parte da grandi apparecchiature industriali come i grandi server dell'abortito progetto Socrate, che a metà anni Novanta avrebbe dovuto portare la fibra ottica nelle case di tutti gli italiani) arriva, viene smontato a mano («per selezionare meglio, ma è anche vero che gli impianti automatici costano troppo») e ormai diviso riparte, destinato al riciclo.
Un settore che non conosce crisi. È vero che da un paio d'anni le aziende ci pensano due volte prima di dismettere gli apparecchi, ma le macchine, come le persone, hanno pur sempre un ciclo di vita che prima o poi deve finire.

Ed è altrettanto vero che si sta molto più attenti, in fase di dismissione: nel 2003, Italimpianti affidava ancora al «ragno», il braccio meccanico che preleva e stritola, le proprie attrezzature obsolete, destinandole in toto alla fonderia e dilapidando un tesoretto di palladio che oggi non andrebbe di certo trascurato. «Cinquecento tonnellate in un anno - commenta Timossi - e spero di arrivare a mille nel giro di pochi anni. È un business, è vero, ma è anche un servizio per l'ambiente».

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