Gianfranceschi, i fieri aforismi dell’ultimo reazionario

In copertina un’incisione di Bruegel: Guerriera che naviga verso un porto. Il titolo: Aforismi del dissenso (Lucarini, pagg. 176, euro 16). Apro il libro a caso. Pagina 84: «Siamo tutti in libertà vigilata»; «La sconfitta è elegante, la sconfitta è riposante. Mai, però, farsi sconfiggere dentro»; «Una qualità perduta: la noncuranza. Chi è ancora immune da cure, angosce, preoccupazioni? Familiari alla noncuranza sono il sorriso e l’ironia»; «L’economia è la più occulta delle scienze; perciò gli specialisti sbagliano sempre le previsioni: in fondo, non sono minimamente attrezzati»; e infine: «L’aforisma non è un frammento. Benché breve è già intero e compiuto in sé». Nell’immagine in copertina e in queste parole c’è tutto il suo autore, Fausto Gianfranceschi, morto a 84 anni il 19 febbraio scorso. Con partecipazione e tempestività l’editore Lucarini ha dato alle stampe il suo ultimo libro, che Fausto mi aveva dato da leggere a gennaio per un parere: «Sai, è il mio testamento spirituale, vorrei che mi dicessi cosa ne pensi». E cosa mai potevo pensarne? È la lucida descrizione, per lampeggiamenti e intuizioni, della decadenza in cui viviamo e, allo stesso tempo, un ritratto culturale e morale del suo autore, che si definì «l’ultimo reazionario», un termine che non aveva paura di usare.
Nelle citazioni trovate a caso è concentrato il nostro oggi: l’Italia dei «tecnici» e degli «economisti» che ragionano in astratto e si scontrano con il concreto; gli italiani controllati occhiutamente, come mai lo erano stati durante il bieco Ventennio, da uno Stato che si autodefinisce democratico e liberale; un uomo che sovranamente sicuro delle proprie idee guarda la società che lo circonda con noncuranza, sapendo che sarebbe stato intoccabile interiormente, sconfitto soltanto in apparenza. Un ritratto che ci comunica serenità e tranquillità per aiutarci ad andare avanti.
Nella sua bella e partecipe introduzione, Marcello Veneziani scrive: «Anche la sua romanità fa di Fausto Gianfranceschi un maestro di carattere, la fierezza stoica, romana e cristiana con cui ha affrontato la lunga lotta con la malattia, il lutto e il dolore. Vita come milizia, a viso aperto». Perché la lunga vita di Fausto è stata costellata di tutto questo: dalla morte di due figli alla battaglia contro il tumore durata almeno tre lustri. Un uomo di carattere anche perché ha saputo restar fermo nelle sue idee, senza rinnegare né nascondere nulla delle proprie posizioni culturali e politiche, delle esperienze giovanili, delle battaglie e polemiche su tutti i fronti condotte sino alla fine. È rimasto, per citare una usata (e abusata) immagine di Julius Evola il quale fu il suo primo filosofo di riferimento e che poi, nonostante fosse diventato cattolico, non rinnegò mai, un uomo «in piedi fra le rovine».
La nave che a vele gonfie naviga verso un porto, che sta sulla copertina di questo ultimo libro, è un simbolo della sua vita. È una nave «guerriera», come fu lui, che criticò l’asfissiante cappa del conformismo e della egemonia della sinistra dei vari colori. Ed è una nave che si dirige verso il porto, il porto del finis vitae, iera e indomabile. Questo i suoi avversari non glielo hanno mai perdonato e lo hanno dimostrato sino all’ultimo istante. «Ho trovato incivile il silenzio dei giornali, eccetto quelli di centrodestra, sulla scomparsa di Fausto», ha scritto Veneziani. «Un silenzio disumano, bestiale, sia che nasca da disattenzione nei suoi confronti, sia che nasca dalla deliberata volontà di cancellare anche in extremis un autore sgradito.

Neanche le più feroci tribù si sottraggono dal rendere onore all’avversario che muore». Io spero soltanto, come troppo spesso avviene, che i suoi romanzi «fantastici» e critici della modernità e i suoi saggi controcorrente vengano riscoperti da qualche editore.

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