«Il governo deve decidere su pensioni e fisco»

Carlo Sangalli, presidente Confcommercio: «Non è stata una buona idea rimettere in discussione la riforma Maroni». «Vogliamo capire a chi andrà la riduzione del cuneo»

Gian Battista Bozzo

da Roma

Nei giorni scorsi il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli ha incontrato Vincenzo Visco e Pierluigi Bersani per discutere di studi di settore e di rilancio del terziario. Il viceministro delle Finanze, domani, parteciperà a un consiglio generale della Confcommercio. Dialogo ancora aperto dunque, ma non mancano le critiche da parte della più forte organizzazione del commercio: in particolare sul rinvio della riforma delle pensioni e sul cuneo fiscale.
Presidente Sangalli, l’incontro di Palazzo Chigi sulla politica dei redditi è parso un «do ut des» fra governo e sindacati: niente pensioni in Finanziaria purché i sindacati accettino di discutere un patto che riveda le regole della previdenza e della contrattazione. Ma il rinvio delle pensioni non è rischioso per i conti 2007?
«Guardi, il punto fondamentale è che la riforma delle pensioni va fatta guardando alla sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema previdenziale pubblico. Che un obiettivo così ambizioso potesse essere raggiunto entro i tempi della Finanziaria era francamente poco probabile. Serve un “patto”? Va bene. A condizione che i problemi si affrontino e si risolvano».
Ma lo scalone di Roberto Maroni va abolito?
«Penso che non sia stata una buona idea quella di rimetterlo in discussione. Perché la questione dell’innalzamento dei requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione va affrontata, e perché non possiamo permetterci di perdere i risparmi di spesa generati proprio dallo scalone. In ogni caso, non si può contemporaneamente dire di no allo scalone di Maroni e ai disincentivi di Damiano».
Rivedere l’accordo del ’93, come ha proposto Padoa-Schioppa, può voler dire tante cose: i sindacati hanno chiarito che vogliono una rivalutazione di stipendi e salari. C’è spazio per simili richieste?
«Lo spazio dipende da due condizioni fondamentali: che la nostra economia cresca più velocemente e che il modello degli accordi contrattuali premi di più gli incrementi di produttività e chi merita. Per raggiungere questi obiettivi, dobbiamo rimboccarci tutti di più le maniche: il governo, le imprese, i sindacati».
Nell’ultimo incontro con le parti sociali, non si è parlato di cuneo fiscale né, in generale, di fisco. Avete avuto qualche rassicurazione sul fatto che la riduzione del cuneo riguarderà anche il terziario?
«È stata confermata, in generale, la volontà di procedere alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Aspettiamo la risposta al come e per chi. Noi siamo pronti a discutere della intensità della riduzione, dei suoi criteri e della modalità di ripartizione. A una sola condizione: che la selettività non significhi discriminazione nei confronti delle imprese dei servizi».
Ci sono novità sugli studi di settore?
«Intanto, è stato un bene che Visco abbia sgombrato il campo da un’impostazione della lotta all’evasione in termini di categorie sociali. Per quel che riguarda gli studi, la nostra impostazione è chiara: chiediamo studi più efficienti. Perché chi deve pagare di più lo faccia, ma anche affinché chi deve pagare di meno sia messo in condizione di farlo. In ogni caso, gli studi non possono diventare uno strumento per assicurare un automatico gettito aggiuntivo».
Man mano che ci si avvicina al 30 settembre, sembrano ridursi i tagli di spesa mentre aumenta il prelievo fiscale. Ai Comuni è stato concesso di aumentare le addizionali Irpef e Irap e di introdurre tasse di scopo e ticket di ingresso nelle città.


«Lo sblocco delle addizionali ci preoccupa perché, insieme al superamento dei tetti di spesa, rende più che probabile un maggior ricorso da parte degli enti locali alla leva fiscale. Che il federalismo fiscale vada realizzato è indubbio. Che lo si debba fare a partire da un principio di invarianza - e anzi di impegno alla riduzione - della pressione fiscale complessiva, lo è altrettanto».

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