Le compagnie aeree low cost che si oppongono alla decisione del governo di calmierare il costo dei biglietti aerei per Sicilia e Sardegna.
Lo fanno invocando il libero mercato, ma predicano bene ma razzolano male. Dopo la scelta dell’esecutivo di intervenire sull’algoritmo responsabile dell'assegnazione dei prezzi per evitare che i cittadini si trovassero a dover pagare anche centinaia di euro a tratta per volare verso le isole, si è alzato un coro di proteste delle low cost guidato da Ryanair. Pochi giorni fa l’associazione di categoria Airlines for Europe ha inviato una lettera a Bruxelles invitando le istituzioni europee «a chiarire con l’Italia se questo intervento abbia un impatto sul mercato del trasporto aereo, libero e deregolamentato in Europa». Secondo i vettori aerei «se questa legge venisse adottata, potrebbe costituire un precedente e portare a un effetto domino con la conseguente adozione di regolamenti simili in altri stati membri dell’Ue» violando perciò le leggi europee, un’ipotesi respinta al mittente dal governo.
Le low cost si sono improvvisamente scoperte liberali e pro mercato, peccato ricevano centinaia di milioni di incentivi dagli aeroporti italiani e dagli enti locali. Secondo un’inchiesta del Corriere a firma di Leonard Berberi: «Soltanto nel 2019 e soltanto in Italia questi incentivi ammontano ad almeno 391 milioni di euro considerando soltanto le sette principali low cost».
Inoltre, spiega Berberi, «Ryanair, stando ai calcoli, ottiene la fetta maggiore di questo pacchetto: almeno 260 milioni di euro nel 2019 considerando tutti gli aeroporti italiani». L’Ue ha dato il via libera nel 2009 con una direttiva a questi «incentivi per avviare nuove rotte in modo da promuovere, tra l’altro, lo sviluppo delle regioni svantaggiate e ultraperiferiche» purché siano erogati «in conformità del diritto comunitario».
Eppure, nonostante la Commissione Ue abbia richiesto la massima trasparenza, è complicato riuscire a risalire alla reale entità dei sussidi poiché vengono erogati attraverso contratti firmati tra i vettori e le società di gestione aeroportuale. Si stima infatti che gli accordi stipulati tra le compagnie low cost con aeroporti e amministrazioni locali possano superare la cifra di 500 milioni di euro.
Oltre ai classici incentivi al traffico e allo sviluppo delle rotte, ci sono quelli per l’apertura di una nuova base, sconti sul parcheggio e handling e addirittura il pagamento alla compagnia aerea della differenza delle tasse aeroportuali per volare in scali con costi maggiori e c’è poi un premio per il traffico: più aumentano i viaggiatori più cresce l’importo.
Questi accordi nascono per incentivare il turismo e migliore la mobilità con ricadute in termini economici per il territorio, il problema è che spesso si finisce a fare trattative con una competizione malsana tra aeroporti talvolta anche nella stessa regione.
Inutile dire che a fare la parte del leone sono le compagnie low cost che si trovano in una posizione di forza e questo modus operandi le ha portate a ottenere la principale quota di mercato nel nostro paese.
La necessità di rivedere il sistema degli incentivi era emersa già dallo scorso autunno con la proposta di introdurre una misura di «compensazione» poiché troppo concretato sul lato turistico e poco su quello della mobilità dei residenti.
D’altro canto le low cost sono liberali a giorni alterni e, quando si tratta di ricevere i sussidi, l'approccio liberale d'improvviso scompare.
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